“Pensavo che piovesse non che grandinasse”. Lo disse Alcide De Gasperi al termine di un’elezione che qualche affinità con queste europee ce l’aveva: quella del 1948. Allora, con la Dc che andò oltre ogni rosea previsione (percentuali renziane, si potrebbe dire giocando con la macchina del tempo), prevalse anche la paura del Pci.
Tutt’altro spessore, certo, rispetto agli spaventi da singhiozzo suscitati da Beppe Grillo, però la dinamica non è poi così tnato diversa.
Ecco perché questo voto ha un solo padrone che si chiama Matteo Renzi. A lui va il merito anche dell’incredibile 44% raggiunto a Como città, oltre che del vento che gonfiato le vele dei tanti sindaci di area Pd eletti.
Un dato che suscita lo stesso stupore scaturito nell’allenatore del Cagliari, Manlio Scopigno, quando durante i mondiali di calcio del 1970, esclamò che “mai avrei immaginato di vedere Comunardo Niccolai (difensore tramandato ai posteri per i leggendari autogol) via satellite”. Mai si sarebbe pensato, in quello che fino a tre anni fa era il Mugello del centrodestra, di ritrovarsi con una forza di sinistra che tocca le vette della Dc dei tempi d’oro. Con una differenza non secondaria. Della Balena Bianca a Como si percepiva, eccome, la presenza. Nel bene e nel male. Quasi la respiravi. Del Pd di tracce nell’aria ce ne sono pochine e quando ci sono sanno anche un po’ di stantio, di vecchia politica da retrobottega.
E poi come ti spieghi il 44% di un partito che sostiene un sindaco che ha sparato a palle incatenate contro il presidente del Consiglio, che ha annunciato l’aumento delle tasse quattro giorni prima delle elezioni e il cui gruppo consiliare, permeato di autoreferenzialità, minaccia di scindersi due giorni prima dell’apertura dei seggi? Appunto non te lo spieghi - anche se la popolarità del sindaco non sembra segnare il passo nonostante qualche ingenuità sul versante della comunicazione - se non con il benefico effetto Renzi, un balsamo lenitivo che si è spalmato in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale per sopire le paure e accattivare con il suo aroma quei ceti produttivi senza più bussola che magari l’anno scorso, anche a Como e nel Comasco, si erano aggrappati alla barba di Grillo per poi stancarsi delle sue sterili scalmane. Ciao Pep, perciò e via con i ceri accesi a San Matteo.
Un voto però, quello che fluttua in tal modo, davvero molto liquido. Una volta il consenso era un iceberg che lasciava via solo poche gocce. Ora è un fiume agitato che scorre qua e là. Così come si gonfia può andare in secca.
Al Pd comasco tocca perciò ora di meritarsi questo dono di Renzi. Se Dc deve essere lo sia sul serio. Magari prendendo il bene che c’era, e non poco, anche nel partitone di via Diaz, quando a Como poche foglie si muovevano senza il benestare dello Scudocrociato.
Perché la città, Lucini e l’amministrazione comunale tutta hanno bisogno di un afflato politico che non sia solo l’affannarsi litigioso per le poltroncine di sottogoverno. Si avverte la necessità di una classe dirigente a Como: seria, autorevole, preparata che sappia incanalare in progetti di adeguato respiro tutte le opportunità che questo fantastico territorio è in grado di offrire. Sarebbe un suicidio non scartare il regalo di Renzi. Un partito a cui i comaschi hanno dato il 44% deve saperselo meritare. Per sé e per la città.
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