Il Tempio simbolo
della Como che non va

Il brand “Lake Como” o “Como Lake” non può bastare a garantirci la patente di città turistica. Chi ha modo di viaggiare all’estero lo sa bene: basta dire che si proviene dal lago di Como e, dall’altra parte, si illuminano gli occhi. In tanti – soprattutto inglesi e americani – ci sono stati, ma tutti usano la stessa parola per definire l’idea che hanno del nostro territorio. Semplicemente “beautiful”.

Il capoluogo negli ultimi anni sta riscuotendo buoni dati di presenze, in continua crescita, nonostante una parte della passeggiata a lago sia ostaggio delle lamiere del cantiere infinito delle paratie. E forse sarebbe il caso di mettere a frutto questa benedizione del tutto spontanea con una serie di interventi concreti per trasformare davvero Como in una città turistica.

Il Comune punta in modo particolare sugli eventi (ieri è partito Parolario, a metà luglio toccherà alla grande mostra di Villa Olmo), ma non è sufficiente. Non è possibile avere un gioiello come il Tempio Voltiano dimezzato da un anno a causa del distacco di una piccola porzione di intonaco del soffitto. Lungaggini burocratiche, pareri della Soprintendenza da attendere, ma davvero non è pensabile agire con tempi troppo lenti rispetto alla velocità del mondo, dell’economia e del turismo. E lo stesso vale per un altro simbolo cittadino, la fontana di piazza Camerlata “impacchettata” da mesi e ancora senza operai al lavoro. Alla faccia di Expo. Ma, soprattutto, alla faccia della stagione turistica. Che sempre di più è una voce importante dell’economia cittadina.

C’è chi sostiene che un cantiere in corso non sia dannoso per il turismo, ma anzi che dia l’idea di una città in trasformazione. Teoria corretta, ma sui cantieri qualcuno a lavorare ci dovrebbe essere.

E, invece, sulle paratie non lavora nessuno da tre anni, al Tempio Voltiano da un anno, in piazza Camerlata da mesi. A infastidire, ad esempio a Camerlata, è la sensazione di abbandono che si respira guardando l’opera circondata da erbacce che ormai sono diventate una foresta.

Pure Villa Olmo, che avrebbe già dovuto essere interessata da lavori importanti di riqualificazione, si ritrova con la sala d’onore con reti protettive dopo il distacco di uno stucco. Ma qui c’è poco da fare se non cercare di accelerare sugli appalti per evitare di ritrovarsi a completare l’opera tra dieci anni.

Quello che serve prima di tutto è però un cambiamento di mentalità. Altre realtà più piccole e non troppo lontane l’hanno fatto e i risultati si vedono. A volte basta qualche fioriera appesa ai lampioni (tradizione di Londra, copiata con ottimo effetto da Varese, solo per fare un esempio) o a fiori sulla ringhiera del lungolago (i gerani cascanti di Menaggio finiscono puntualmente in tutte le fotografie).

Ma servirebbero anche dei cartelli scritti almeno in inglese e indicazioni chiare per raggiungere i principali luoghi turistici. In Comune ne avevano parlato, li avevano pure annunciati, ma non si sono visti.

Dettagli, insomma,ma che fanno la differenza in una città che vende se stessa e le sue bellezze e che, proprio su questo, ha deciso di costruire il suo futuro.

Manca l’idea della cura delle piccole cose, dalla buca nella strada ai cartelli divelti, dalla ruggine sulle cancellate alle fioriere rotte persino in piazza Cavour.

E forse è il momento di investire davvero sul brand che da solo porta centinaia di migliaia di turisti da tutto il mondo.

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