Il conto alla rovescia per Expo sta per finire. E, di conseguenza, il tempo a disposizione per farsi belli e per presentarsi con il biglietto da visita migliore, è quasi scaduto. Non per tutti, però. Gli albergatori, come hanno raccontato più volte nelle ultime settimane, si sono dati da fare rinnovando camere e completando lavori di ristrutturazione iniziati anche due o tre anni fa.
Lungimiranti, perché, anche se nessuno oggi è in grado di quantificare se e quanto l’esposizione universale porterà indotto sul Lario, tutti sono concordi nel sostenere che «è un’occasione da non perdere».
Occasione che rischia di scivolare tra le mani proprio al Comune e quindi alla città. Da una parte si è mosso, in collaborazione con realtà come il Teatro Sociale e non solo, per la predisposizione di un calendario di eventi unitario che mette insieme manifestazioni già consolidate, dall’altra tanti cantieri aperti e nulla di concluso.
L’Expo sarà inaugurato ufficialmente il Primo Maggio. A Como la scena che si presenterà è la seguente: ci saranno ruspe in piazza De Gasperi, operai al lavoro sotto il Broletto, nessuno in piazza Grimoldi. E, per via Pretorio, chissà se il Comune si deciderà almeno a spostare i posti moto: definiti orrendi in quella collocazione sia dal sindaco sia dall’assessore ai Lavori pubblici la scorsa estate, peccato siano rimasti nella stessa posizione. Magari qualche turista potrà fotografare il cannocchiale tra abside del Duomo e Broletto senza essere costretto ad immortalare anche la selva di manubri e forcelle.
Il privato, con il suo impegno, sistema il suo albergo o il cancello di casa o cambia le finestre nonostante i vincoli. Le procedure “monstre” frenano gli enti pubblici. È solo questa la causa? O è anche, e soprattutto, un problema di mentalità e di approccio ai problemi e al lavoro?
Ecco, forse a Palazzo Cernezzi dovrebbero ascoltare una lezione di Brunello Cucinelli (che nell’incontro di venerdì sera al Teatro Sociale ha fornito più di uno spunto) o del premier Renzi per imparare una cosa tanto semplice quanto praticamente impossibile da attuare per il pubblico: il valore della rapidità. Sembrerà un concetto banale, ma il mondo non ci aspetta.
Eppure la più grande azienda cittadina, il Comune di Como, incrocia le braccia (con pochissime eccezioni, vedi anagrafe e cimiteri) il venerdì a mezzogiorno. Ma il mondo non si ferma per il weekend. E non si ferma nemmeno di fronte alla burocrazia. E se il cambiare alcune norme e snellire i tempi (il confronto con gli altri Paesi europei è impietoso) spetta a Roma (colpevole pure per il meccanismo del patto di stabilità strozza-Comuni che blocca parecchie opere pubbliche), anche Como può fare qualcosa nel suo piccolo. Può capire che bisogna essere più veloci. Innanzitutto nel prendere le decisioni: non si può pensare, per ogni buca o per ogni marciapiede di stare a sentire tutti. Un danno alla democrazia? Forse. Ma forse basterebbe presentare chiaramente i progetti a tutti, dare un tempo per la valutazione, e poi proseguire. Non trascinarsi in proposte, controproposte per arrivare, magari, a modifiche millimetriche. O per non arrivare a cambiare nulla. Se la scorsa estate si era detto di voler spostare le moto dalla visuale del Duomo perché, quasi un anno dopo, sono ancora lì? E perché, quasi due anni dopo, c’è ancora lo stesso frigorifero abbandonato a Villa Olmo? O ci vogliono cinque mesi per decidere se riparare o meno il battello spazzino affondato?
Tornando ad Expo, Como dimostra, purtroppo, di essere fuori tempo. Non ci sarà nulla di pronto, nonostante gli annunci e nonostante le ipotesi. E forse, sapendo che il lungolago (ad eccezione della parte sistemata dai privati) sarebbe stato inagibile, ci si aspettava qualcosa di più che arrivare al Primo Maggio con cantieri aperti ovunque. Segno di vivacità secondo alcuni, ma forse più simbolo di una programmazione non sincronizzata con le lancette del mondo. Troppo veloci. Ma con cui i conti, prima o poi, bisogna farli.
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