L’Italia è il paese della retorica. Ne costituisce l’anima, il profilo, l’identità. La plasma in maniera integrale, visto che ne rappresenta la storia, la cultura, la vocazione. E, infatti, non si dimentica di esibirla in qualsiasi occasione. Anche la più inappropriata, la più tragica, la più indecente.
L’ultimo caso è quello dello stupro e dell’assassinio della ragazzina nel quartiere romano di San Lorenzo. Un episodio di cronaca talmente efferato e insopportabile da indurci a pensare che sia un unicum, una mostruosità senza precedenti. Ma non è così. Di fatti del genere ce ne sono stati parecchi anche in tempi recenti. Ma uno di quasi mezzo secolo fa - il massacro del Circeo, con lo stupro e l’assassinio di un’altra ragazzina - è emblematico di come l’arte della retorica, della demagogia, del vellicamento della pancia sia consustanziale alla natura del nostro paese e forse, chissà, un po’ di tutti gli esseri umani.
Ieri questa natura è stata immortalata in una formidabile vignetta sul “Fatto Quotidiano”, che fa recitare ai due personaggi del disegno il seguente dialogo: “Il degrado è la sola cosa che i migranti hanno portato a San Lorenzo” dice il primo, “Mica il lusso che i pariolini portavano al Circeo”, chiosa il secondo. Applausi. Lì dentro c’è tutto. La configurazione di due famiglie, due fazioni, due clan che ragionano in termini totalmente ed esclusivamente ideologici e così facendo annullano le responsabilità individuali dentro una aprioristica responsabilità collettiva, di massa, razziale, di censo. Ecco la vulgata. I migranti sono tutti delinquenti, farabutti, stupratori, spacciatori, massacratori, assassini, terroristi, infetti e tutto il resto previsto dal canovaccio retorico sul quale in questi anni sono state costruite formidabili carriere politiche e altrettante formidabili e servilissime e cialtronissime carriere giornalistiche. Ed eccone un’altra, di vulgata. I pariolini, cioè i ricchi, i borghesi, gli imprenditori, i professionisti, i benestanti, i membri della casta, i tecnocrati, i trilaterali, insomma, i padroni, sono tutti delinquenti, farabutti, stupratori, evasori, estorsori, corruttori, sfruttatori, cocainomani e tutto il resto del canovaccio retorico sul quale nei meravigliosi anni Settanta sono state costruite formidabili carriere politiche e altrettante formidabili e servilissime e cialtronissime carriere giornalistiche.
Ora, per mero dato di cronaca, bisogna ricordare che il massacro del Circeo - che risale al 1975, costò la vita a Rosaria Lopez, sevizie indicibili a Donatella Colasanti e del quale rimane una delle fotografie più sconvolgenti, assieme a quella del rogo di Primavalle, della storia italiana recente - ha esaurito da tempo tutti i suoi gradi di giudizio con la condanna dei responsabili. Mentre qui, per ovvie ragioni, siamo ancora agli inizi del procedimento giudiziario. Ma non è questo il punto. Il punto vero, il punto decisivo, il punto dirimente per l’Italia marcia e fetida di quegli anni e per l’Italia marcia e fetida di questi anni, è la sparizione del singolo, dell’individuo, della responsabilità personale ben presto fagocitata dentro una spaventosa, orwelliana chiamata di correo: sociale in un caso, biologica nell’altro.
Gli assassini del Circeo non erano quei tre ragazzi lì, no, ma un’intera classe sociale - la porca e schifosa borghesia - che in quanto tale avrebbe dovuto essere spazzata via perché quella classe sociale - come ben insegnava l’eversione rossa, ma anche quella nera - era la genesi di tutti i mali del mondo. Quindi le due povere ragazze stuprate, torturate e infilate nel baule di una 127 bianca diventarono l’ennesimo pretesto dell’eroica lotta di classe contro i ricchi. Ecco come si comportavano i figli di papà - tutti! - al contrario dei virgulti umiliati e offesi della classe operaia. E allo stesso modo, il massacro intollerabile della fragile Desirée non è frutto di un atto individuale di cui saranno responsabili alcuni individui ancora da accertare e comprovare, ma tutti - tutti! - i migranti, gli stranieri, insomma, tutti i negri che vivono in Italia e probabilmente anche quelli che vivono nel resto del mondo. Sono tutti assassini, in quanto negri. E questo è quanto.
Bene, cosa c’è di diverso tra questi due episodi e queste due ideologie così lontane? Poco. Carabattole. Anzi, non c’è alcuna differenza. C’è solo il trionfo della massa, della gente, del popolo - che non è affatto un termine positivo - della canaglia, della suburra sull’individuo. La sua sparizione. La sua eclissi dal palcoscenico della storia.
Ma scusate, come è possibile che il “Corriere della Sera” - il “Corriere della Sera”, non l’ultimo degli avvinazzati del Bar della Pesa - titoli sulla prima pagina di venerdì “Gli assassini di Desirée erano stati espulsi”? Gli assassini? Quali assassini? I tre fermati sono stati colti in flagrante? Sono rei confessi? Sono stati processati? Sono stati condannati, almeno in primo grado? No, niente di tutto questo. Al momento sono solo accusati e quindi non esiste un solo elemento per definirli assassini. Eppure li chiamiamo già così. Come è possibile? Dove sono le garanzie dello Stato di diritto? Cosa siamo diventati?
Qui il problema non è di bianchi o neri, ricchi o poveri e non è neanche il problema del degrado sociale, perché è ovvio che ambienti degradati moltiplicano in modo esponenziale i reati e le violenze. Ma non le determinano in maniera scientifica. Tanto è vero che il mondo è pieno di ottime persone senza studi e senza una lira e di delinquenti colti e milionari. E viceversa, ovviamente. Ma è soprattutto vero che ogni uomo è unico, autonomo e responsabile di quello che pensa, di quello che dice e di quello che fa e se usciamo da questo principio fondante di una società liberale finiamo dritti filati nella dittatura del numero, della famiglia, della razza, del credo religioso, della tribù. Ed è quello che sta succedendo, anche se forse non importa più a nessuno.
@DiegoMinonzio
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