No, il dibattito no. O meglio sì, il dibattito sì ma cum grano salis. Non si sono ancora spenti i bengala accesi per la promozione del Como in serie B ed ecco che si riaffaccia la discussione sullo stadio.
Una questione rimasta sopita, salvo isolati exploit, durante tutti questi undici anni di carestia calcistica per la città, a causa dell’appeal limitato dei campionati di Lega Pro e inferiori frequentati dagli azzurri.
Ma è bastato tornare a riveder la stella cadetta ed ecco il riecheggiare delle voci sull’inopportunità della permanenza del Sinigaglia in convalle a causa degli effetti collaterali provocati nella zona il giorno della partita (due volte al mese, eh) che nel prossimo campionato, oltretutto, sarà perlopiù di sabato.
Nessuno nega che i sostenitori della proposta“stadio fuori dal cuore della città” abbiano le loro ragioni. Però, rispetto al passato, c’è forse un argomento a sostegno della tesi opposta che potrebbe prevalere sugli altri.
Per arrivarci occorre partire dall’inizio. Lo stadio per la serie B è anche un problema. Ha bisogno di interventi per adeguarlo ai requisiti previsti dalla categoria (altrimenti il Como sarebbe costretto a giocare le sue partite casalinghe in un’altra città). Il presidente della società azzurra, Pietro Porro ha già annunciato che si farà carico della spesa per l’installazione dei tornelli (circa 200 mila euro). Naturalmente chiede all’amministrazione comunale (proprietaria del Sinigaglia) garanzie sul fatto che ha fruire dell’investimento sarà per alcuni anni il Calcio Como non un altro ipotetico soggetto a cui palazzo Cernezzi potrebbe concedere l’uso della struttura in cambio di un affitto più allettante di quello versato dalla società azzurra. Un po’ di quattrini dovrà metterceli anche il Comune per la manutenzione. Ma le condizioni della struttura sono quelle che sono e le casse sia del Como sia del Municipio non traboccano d’oro. Per questo, e per evitare (al di là dell’eccellente stato dei rapporti tra il soggetto pubblico e quello privato) il ripetersi in futuro dei rimpalli sugli oneri dei lavori allo stadio già visti in passato, la soluzione è una sola.
Su di essa concordano il presidente del Como e il sindaco Mario Lucini. La gestione dello stadio va data a un altro soggetto in grado di modernizzare il Sinigaglia secondo i canoni degli impianti del terzo millennio (parcheggi, negozi ,ecc...) e di accollarsi le spese in cambio degli introiti indotti. Per il Como e il Comune sarebbe un bel peso tolto dallo stomaco con il vantaggio nel caso della società di utilizzare una struttura adeguata alla serie B (e anche alla A) e per quanto attiene alla città di sistemare tutta l’area in riva al lago come Lucini e i suoi assessori vorrebbero fare da tempo. Anche perché in una situazione come quella di Como a proposito degli impianti sportivi (l’ultimo caso è quello della piscina di Muggiò costretta a chiudere senza che si sappia quando riaprirà) sarà sempre più difficile per il sindaco giustificare investimenti pubblici sul Sinigaglia.
Non può sfuggire a nessuno che uno stadio in quella posizione rappresenti un valore aggiunto mille volte superiore a quello di un impianto realizzato a Lazzago o in altre aree esterne alla convalle. Non a caso, spesso, dietro alla motivazioni “ideali” dei fautori dello spostamento si celavano interessi inconfessabili come quello di levare di mezzo il Sinigaglia e realizzare al suo posto qualcosa di più redditizio.
Ora, grazie alle nuove tendenze, l’obiettivo può essere centrato senza disturbare più di tanto il vecchio stadio. Il più bello d’Italia, diceva Gianni Brera. Certo il più panoramico.
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