Pino Comolli
In sostanza ciò che il centrodestra intende impedire - ma prima che sia impedito, dovrà passare al vaglio del Parlamento - è la pubblicazione di qualunque atto di un’inchiesta fino a quando non si apra il dibattimento processuale. Quindi più nessuna notizia riguardante, che so, interrogatori, perquisizioni, perizie. E neppure avvisi di garanzia. E neanche il contenuto delle ordinanze di custodia cautelare (e della custodia cautelare stessa, cioè d’un arresto, stando all’interpretazione data da alcuni al provvedimento in viaggio verso le Camere). Se le cose stanno così, sarà un’impresa dar conto ai lettori di numerose vicende delle quali la professione di giornalista impone che se ne dia. E sarà un’impresa mantenere gli attuali confini d’una società d’impianto democratico. Non bisogna tuttavia scordare che si è giunti a questa svolta per l’abuso non infrequente d’informazioni destinate alla riservatezza in obbedienza alla tutela della dignità personale: forse è esagerato fissare il totale black out sugli atti giudiziari sino allo svolgersi del processo, di sicuro lo è stata la celebrazione anticipata del medesimo sui giornali e in televisione. Da evitare è dunque il passaggio da un eccesso all’altro, tenendosi lontani dall’imbavagliare la stampa, ma stando vicini ai diritti individuali dei cittadini. Il giornalismo, d’altronde, ha un modo semplice per sfuggire in parte alla possibile stretta: anziché affidarsi soltanto alle tradizionali fonti d’informazione, diventare (o ridiventare) esso stesso fonte d’informazione. Nessuno potrebbe mai vietare a un cronista di scrivere ciò ch’egli è riuscito a scoprire su un caso. Anzi, tutti - a cominciare dalla magistratura - lo ringrazierebbero per il contributo portato alle indagini. Il giornalismo d’inchiesta ha una buona tradizione in Italia: non resta che migliorarla.
Max Lodi
© RIPRODUZIONE RISERVATA