Insegnanti:assunzioni
e assurde procedure

Tra il 25 e il 30 agosto è prevista l’assunzione di molti nuovi insegnanti. L’operazione è accompagnate a Nord da una lunga scia di proteste e di polemiche. Sono tutte fondate! La procedura di assunzione, infatti, sembra scritta a quattro mani da Gogol e da Kafka. Intanto, i canali di reclutamento sono due: quello del precariato e quello “regolare”, cioè quello di chi ha vinto concorsi o frequentato con giudizio positivo corsi di abilitazione. Poiché l’incapacità programmatoria del ministero, le pressioni dei sindacati e la demagogia di una politica debole hanno permesso l’accumulo di una massa di precari di oltre 100 mila unità - alcuni dei quali sono quasi arrivati all’età della pensione – il ministero e i sindacati hanno concordato di attingere a questo bacino enorme. Qui l’unico criterio di scelta è il punteggio per anzianità di supplenza. Ovviamente (?!) nessuno ha mai verificato o dato un giudizio sulla qualità del lavoro svolto. Se questi precari siano capaci di insegnare, nessuno lo sa. Ciò nonostante, l’accordo di assunzione per il 2014 prevede che la metà dei neo assunti provenga dal precariato. A questo punto, viene avanti la questione territoriale.

Il Sud trabocca di precari. Un primo accordo prevedeva che i precari e i regolari di altre regioni potessero entrare nelle graduatorie di almeno tre province per es. lombarde, ma “in coda” alla graduatoria dei precari lombardi. La Corte costituzionale ha però dichiarato incostituzionale questa clausola: se il sistema è unitario dalle Alpi al Lilibeo, non è accettabile una discriminazione per provenienze territoriali. Conta solo il punteggio. Perciò la Corte ha deciso che i precari e i regolari provenienti da altre regioni dovessero essere inseriti non “a coda”, ma “a pettine”. E qui nascono i drammi e i conflitti tra poveri, perché le graduatorie territoriali sono state sconvolte: un precario “locale” è terzo in graduatoria, si trova abbassato al 67° posto. Solo che l’ineccepibile formalismo della Corte costituzionale non risolve il problema sostanziale: quello dello spread territoriale dei punteggi. Al Sud i criteri di giudizio usati nella Pubblica amministrazione sono assai laschi così come lo sono i voti dei ragazzi nelle scuole. Lo Stato è un’occasione di posti di lavoro, per occupare i quali non si va per il sottile. E se a Nord sono calvinisticamente assai più severi – lo si è visto anche in occasione dei concorsi per dirigenti – peggio per loro. Qui tocca alla politica affrontare in modo radicalmente innovativo la questione del reclutamento degli insegnanti. Intanto, e nell’immediato, occorre ri-allungare i tempi di permanenza obbligatoria in una scuola, che il ministro Carrozza ha abbassato da cinque a tre, prima di poter chiedere l’eventuale trasferimento. Non essendoci una possibilità di carriera, l’unico modo per migliorare la propria condizione lavorativa è quello dell’avvicinamento a casa. Insomma, servirebbe una carriera per i docenti. Ma è l’intero meccanismo della formazione/reclutamento che va ristrutturato. Intanto, va introdotto fin dalla formazione universitaria il numero programmato per l’accesso selezionato alle carriere pedagogico-didattiche, così da evitare la formazione di migliaia di disoccupati, che cercano nella scuola un’occupazione di ripiego e che passano di supplenza in supplenza. E poi, vanno aboliti i concorsi nazionali per esami scritti e orali, perché sono diventati terreno di disparità insopportabile dei giudizi, a seconda che si svolgano a Nord o a Sud, nonché di corruzione. Come gli ospedali, anche le scuole devono poter mettere a concorso i posti, ogni volta che si liberi una cattedra, con commissioni di assunzione fatte da Reti di scuole, composte in modo plurale. Lo farà la prossima riforma della scuola annunciata da Renzi? Appuntamento al 29 agosto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA