Bruxelles e l’Istat sono concordi nel prevedere per l’Italia una crescita più lenta di quella messa in conto dal governo. Un dato non sorprendente (è sempre stato così anche in passato) che rischia tuttavia di incrinare la campagna renziana per le europee. Colpisce in particolare il pronostico di un impatto quasi nullo sui consumi dei famosi 80 euro in più al mese.
Ciò spiega perchè il premier abbia spronato tutto il Pd a mettere da parte le polemiche interne per affrontare «senza timidezza» la campagna elettorale. Il pericolo è che gli sbandamenti sulle riforme e le critiche al suo decisionismo, soprattutto dal fronte sindacale, aprano un varco a Grillo e Berlusconi nella conquista degli indecisi e dei potenziali astensionisti sui quali si giocherà la partita e che già oggi nei sondaggi rappresentano quasi il 50%del bacino elettorale.
Non a caso Renzi attacca a testa bassa il leader del M5S, definito «uno sciacallo» avverte che gli 80 euro «sono solo un antipasto» ed esclude che le europee siano un test sul suo governo: piuttosto rappresenteranno un voto sull’Europa. Qualche preoccupazione a palazzo Chigi ci deve pur essere se il Rottamatore prova a indicare il vero obiettivo del Pd nel diventare il primo partito all’interno del Pse. Qui si capisce l’importanza di aver aderito alla casa socialista, sottraendo il partito al limbo della terza via: la speranza è che il Pse faccia in qualche modo da traino alle ambizioni di guida del semestre italiano di presidenza Ue.
Renzi però si è troppo esposto nella promessa di riformare la Costituzione, la vera garanzia di cambiamento che sembra voler portare in dote all’Europa. Difficile separare, in questa fase, il piano elettorale da quello parlamentare, ma certo la divisione tra costituzionalisti riscontrata nel seminario sulle riforme indetto dal Pd (assenti Rodotà e Zagrebelsky) fa temere all’ inner circle renziano una perdita di slancio .
Il bersaniano Miguel Gotor inquadra questo problema quando dice che, dopo le elezioni, bisognerà ridefinire il patto del Nazareno. Naturalmente è da dimostrare che la minoranza democratica abbia la forza di frenare l’intesa di Renzi con il Cavaliere, ma intanto si può notare come la forza d’urto degli oppositori venga indirizzata contro l’Italicum che poi è l’ architrave politico che ha sorretto fin qui il cammino di tutte le riforme. Lo stesso dibattito sul presidenzialimo , dopo una prima cauta apertura del premier, è stato rimandato ad un “dopo” indefinito proprio per non compromettere la campagna elettorale del Pd.
L’impressione è che la battaglia si deciderà sul fronte dell’ euroscetticismo. Berlusconi, non potendo abbracciarlo in toto, punta sulla revisione dei «patti di stupidità» che bloccano lo sviluppo, promette la detassazione delle nuove assunzioni e l’aumento delle pensioni minime. Ma sono promesse che non hanno qualcosa di davvero innovativo. La vera insidia per il governo viene invece dalla Lega che cavalca la lotta contro la moneta unica e soprattutto dai 5 stelle. Grillo paragona Renzi a «Genny ’a carogna» e usa parole d’ordine così brutali che fanno presagire un pessimo clima. Quel clima contro il quale ha sempre lavorato Giorgio Napolitano, non a caso diventato il bersaglio grosso del grillismo.
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