Solidarietà. Una parola che ci risuona nelle orecchie, quasi svuotata di significati. La ripetono tutti, in modo ossessivo. C’è qualcuno, però, che l’ha tradotta in fatti concreti. Sì, anche nella “fredda” Como, un territorio che si sta rivelando meno chiuso rispetto all’immagine che, spesso, gli viene attribuita. E non è paradossale, per quanto possa sembrarlo, il fatto che Como si stia aprendo proprio in un momento di forte crisi economica, una fase in cui la prima reazione solitamente è quella opposta, la chiusura “a riccio”, il pensare solo al proprio orticello, stando ben coperti. La notizia arriva da Grandate, dai lavoratori del colosso Artsana. Uomini e donne che hanno deciso di auto-tassarsi per aiutare i dipendenti della cooperativa che ha in appalto una parte del magazzino.
Questi ultimi, una trentina, in seguito alla riduzione delle attività svolte per Artsana hanno perso giornate lavorative senza avere alcun sostegno al reddito. Sono persone per lo più nella fascia 40-50 anni, un’età problematica per chi deve cercare un nuovo lavoro. E hanno ricevuto una sorpresa che - proprio per il discorso accennato poco fa - si può definire sorprendente. I lavoratori di Artsana hanno deciso di destinare un contributo (guarda caso, si chiama “contributo di solidarietà”) ai colleghi, nella forma concretissima di buoni spesa utilizzabili al supermercato. Di più: il sostegno è declinato in base alle giornate di lavoro perse e ai carichi familiari, per aiutare di più chi ha più bisogno. L’iniziativa, è bene sottolinearlo, è arrivata dalle rappresentanze sindacali interne. E così i sindacati hanno mostrato il loro volto migliore. La stessa azienda, inoltre, ha lodato la decisione, parlando - citazione testuale - di «atto di solidarietà». Ed ecco che ritorna ancora una volta questa parola.
Certo, il “guadagnare meno guadagnare tutti” non può essere la soluzione a lungo termine per questa maledetta crisi, ma tampona l’emergenza e dà una risposta immediata. Una risposta significativa proprio perché non viene imposta né rappresenta una strada obbligatoria per scongiurare licenziamenti o la chiusura della propria azienda.
No, la decisione arriva direttamente dai lavoratori e per di più riguarda i dipendenti di un’altra realtà, seppur vicina - anche fisicamente - a quella di Artsana. Torna alla mente un altro esempio, quello dei dipendenti dell’ospedale Valduce, pronti a votare in massa - pochi mesi fa, con un apposito referendum interno - un accordo che prevede tagli consistenti alle buste paga ma salva tutti i servizi sanitari destinati alla popolazione.
Dimostrazione di una società capace di serrare i ranghi e di non chiudere gli occhi di fronte alle difficoltà. Una società non così disgregata come viene descritta. A questo punto già sentiamo la più classica delle obiezioni: «Una rondine non fa primavera». Vero, ma risponde bene il segretario generale della Cgil Alessandro Tarpini: «È il segnale che conta, il farsi carico di un disagio».
Lo stesso Tavolo per la competitività e lo sviluppo, che riunisce i rappresentanti della politica, dell’economia e i sindacati, sta per lanciare un “fondo di solidarietà”.
Anche questa parola sulla bocca di tutti, spesso a sproposito, evidentemente può tradursi in gesti concreti e importanti. I lavoratori dell’Artsana hanno già versato più di seimila euro. Più concreti di così.
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