L’intervento del ministro Tremonti che auspica il ritorno al posto fisso è un chiaro richiamo propagandistico. Volto a rassicurare il proprio elettorato, o meglio il proprio blocco sociale, colpito dalla crisi, e bisognoso di essere ricompattato, con l’individuazione di nemici esterni quali le banche, e la prospettazione di comunità omogenee centrate su una presunta famiglia omogenea. È evidente che questa mossa lascia intravedere delle difficoltà reali. I disoccupati del Nord cominciano a pensare che tante narrazioni che li hanno messi al centro di un possibile protagonismo territoriale, si stanno rivelando semplicemente per quello che sono: inganno e imbroglio. E allora, elezioni in vista, si rilancia. Da qui la boutade di Tremonti. Che per essere coerente dovrebbe cancellare decine di leggi e leggine che vanno in direzione della flessibilità precaria e deregolamentazione spinta. Dire posto fisso non vuole dire niente se non lo si inserisce dentro un problema di politica economica che a sua volta si regge su modelli alternativi di pensare il sistema economico. Se l’impresa privata da sola non ce la fa, o meglio è impegnata in dismissioni, fusioni, centralizzazioni, in attesa di ricreare condizioni di profitto, è necessario che sia lo Stato a rimettere in moto l’economia. Non solo ripristinando un welfare universalistico ma facendosi esso/a perno di una programmazione che lo/a veda anche intervenire nell’attività economica, come imprenditore. Avendo come orizzonte i bisogni assoluti: acqua, cibo, case, trasporto, energia per tutti. E soprattutto lavoro.
Alessandro Magni
Il problema è che il lavoro lo perde chi pensava d’avere il posto fisso, chi l’aveva non fisso e ha smarrito pure quello, chi ha appena finito la scuola, non ha né l’uno né l’altro e non lo trova. Il problema è che la società globale presuppone un mercato con regole diverse (e va bene), ma se le regole non funzionano il mercato ne segue la sorte (e non va bene). Voglio dire che il totem del posto fisso si può abbattere, e però sostituendolo con il totem d’una concorrenzialità ove sia premiante il merito. Non le raccomandazioni e i privilegi, le furbizie e i trucchi. Con che faccia si può dire ai giovani “Studiate seriamente e sarete ripagati” in una società dove si trasgredisce regolarmente alla regola dell’uguaglianza delle possibilità di lavoro? Di fisso, purtroppo, conosciamo solo la flessibilità delle opinioni d’una classe politica che - essa sì, in buona parte dei suoi componenti - non sa che cosa sia la mancanza d’un posto. Non necessariamente di lavoro.
Max Lodi
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