Dopo decenni di silenzio su quello che avvenne al confine nord orientale dell'Italia al termine della Seconda guerra mondiale, adesso finalmente viene ricordato ogni anno il sacrificio di coloro che furono gettati nelle foibe. Si tratta di una ricorrenza che tuttavia meriterebbe maggiore rilievo di quello che le viene assegnato, allora infatti si perpetrò un'autentica strage nei confronti di persone che non erano colpevoli di nulla ed è bene che tutti sappiano che cosa accadde. Lo dovrebbero sapere in particolare i giovani, ma nelle scuole i libri di storia si fermano assai prima della Seconda guerra mondiale e nei rari casi in cui qualche insegnante vi accenna, gli argomenti sono così tanti e il tempo così poco che di quel periodo gli studenti apprendono scarsi elementi. Poi ci lamentiamo che l'Italia è un Paese senza memoria storica.
Giovanni Vanetti
È un Paese non privo della memoria storica, ma della voglia d'esercitarla. Gli studiosi catalogano quest'andazzo sotto il nome di memoria divisa e intendono dire che del passato sappiamo poco, qualcosa o molto a seconda della volontà politica di far sapere poco, qualcosa o molto. La storia, insomma, la scrivono i vincitori e solo con il tempo vien data la possibilità di riscriverne alcuni brani ai vinti. Non capita solo da noi, ma da noi assai più che altrove. È una delle ragioni che c'impediscono d'avere una coscienza civile degna di questo nome, la quale si fonda innanzitutto su una conoscenza completa e non parziale del passato. Chi ha provato ad adoperarsi perché ciò avvenisse a proposito del fascismo e della Seconda guerra mondiale - mi riferisco in particolare a Renzo De Felice - ha dovuto subire ostracismi, contestazioni e perfino angherie. Anche perché quanti lo potevano difendere - i democristiani che detenevano in larga misura il potere politico - ben se ne guardarono, sicuri che lasciando in appalto la cultura ad altri - i comunisti che stavano all'opposizione - avrebbero ricevuto marginali seccature. Che cosa furono le foibe, è ormai noto nei più tragici dettagli: il preordinato sterminio (non gli eccessi d'una lotta di popolo) degl'italiani di quei territori di confine, sul quale calò per decenni in omaggio alla realpolitik il silenzio del nostro governo. E non solo del nostro: conveniva al mondo occidentale, dopo l'allontanamento di Tito da Stalin, evitare con l'area slava una conflittualità passibile di pericolose conseguenze. È perciò che i diecimila, o dodicimila, morti del terrore seminato tra il maggio e il giugno del '45 hanno ricevuto così tardo risarcimento storico.
Max Lodi
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