La politica giustizialista
Un suicidio perfetto

I partiti, come noto, sono alla canna del gas. Non hanno più cultura, statura, appartenenza, visione. Cadute le ideologie - male supremo, ma al contempo superbo collante ideale - si sono trasformati in mere macchine di potere, comitati elettorali che vivono sul breve, incapaci di produrre contenuti, valore, strategie di lungo periodo. E i risultati si vedono, visto che mai la politica nazionale e locale ha prodotto una classe dirigente di livello così infimo. Problema distintivo di un’epoca flaccida e fanghigliosa e che riguarda quindi un po’ tutti i settori della vita civile, primo fra tutti il giornalismo, dove ormai pure l’ultimo dei pirla ci ammorba ogni domenica con i suoi editoriali con il ditino alzato.

Il tema si ripropone in queste ore, decisive nelle tante città italiane al ballottaggio e che si consolida attorno a un unico grande tema. La caccia ai voti grillini. È il punto. Lo snodo vero per l’esito dei Comuni in ballo. Chi riuscirà a limitare al massimo l’astensione vacanziera dei propri sostenitori e chi rastrellerà la maggior parte dei consensi dei Cinquestelle, rimasti praticamente ovunque fuori dai giochi, avrà vinto la partita. Il municipio sarà suo. Ora, in un paese normale, nel quale le cosiddette classi dirigenti e i loro staff di analisi e comunicazione - notoriamente rigogliosi di scienziati e cervelloni - fossero una cosa seria, si sarebbero già posti da tempo la domanda fondamentale. Perché tutta questa massa di elettori ha scelto di restare a casa o di votare per Grillo? Tutti ritardati? Tutti sottosviluppati? Tutti analfabeti di andata e ritorno? Tutti demagoghi straccioni e populisti con le dita nel naso? Tutti mostri mostruosi vomitati dalla feccia della terra?

Non è che, putacaso, in quella rivolta ribollente, magmatica e piena di mille contraddizioni e svariate schifezze, c’è tutto il disprezzo, l’insofferenza per partiti tradizionali - sinistra, destra, centro - che hanno perso mille e mille occasioni e hanno combinato disastri su disastri sia a Roma sia nei mille campanili del paese? Non è che i cittadini non sono proprio tutti degli imbecilli e vedono in che condizioni siano state ridotte tante città, che potrebbero essere bellissime e che magari lo sono, nonostante il malgoverno di sindaci e assessori che sembrano usciti da un racconto di Sciascia o da un film di Risi o Monicelli? E se è così, e in larga parte è così, allora ce ne sarebbero di cose da fare, ce ne sarebbero di errori da rimediare, di nefandezze da sanare, di passione civica - che tanti grillini hanno e i partiti non più - da riconquistare. E il fatto che larga parte dei loro leader e rappresentanti, come dice giustamente Berlusconi, siano dei fanfaroni senza arte né parte, gente che non ha mai lavorato in vita sua, che non ha alcuna competenza e che parla di cose che non conosce (ne verrebbe in mente uno in particolare, ma non si può dire visto che siamo in silenzio elettorale…) non cambia affatto la sostanza della questione. Ci sarebbe tanto da imparare da questo rigurgito di protesta civica, di cambio di paradigma, ci sarebbe tanto da autoriformarsi per conquistare quei voti decisivi sulla base della competenza, del rigore e dell’adesione al principio di realtà.

E invece no. L’unica cosa che i partiti – a ennesima dimostrazione del loro essere cotti e stracotti – stanno scimmiottando dai Cinquestelle è di gran lunga quella peggiore. La deriva giustizialista. La resa ai magistrati. L’appiattimento sulla cultura del sospetto, della dietrologia, del complottismo, dell’allusione omertosa che tanfa di dossier, di veline, di brogliacci e che certifica quanto la politica ormai non conti più niente, perché si è consegnata mani e piedi nelle fauci dei magistrati, dai quali si fa stilare le liste dei candidati, si fa dire cosa fare e cosa non fare, si fa impartire lezioni di opportunità. C’è qualcosa di peggio di una politica nazionale e locale che si fa dare la linea dalle toghe di chissà quali colori, che vive nel terrore dei loro ghiribizzi, dei loro birignao e che si accoda succube alle loro faide, come ha scritto esemplarmente Alessandro Sallusti su “Il Giornale” di ieri difendendo il sindaco di Milano Sala per l’inchiesta giudiziaria su Expo? Un mondo distopico.

Certo, per la sinistra niente di nuovo. Il girotondismo, il dietrologismo, il doppio moralismo, la deformazione dolosa dell’avviso di garanzia sono mali atavici di quell’ambiente. Soprattutto di quella sinistra che, non avendo capito un tubo di quello che era successo in questo paese negli ultimi trent’anni, non avendo capito un tubo al quadrato del reale significato di Berlusconi e dell’Italia che rappresenta e non riuscendo a sconfiggerlo politicamente, ha pensato di eliminarlo per via giudiziaria. Facendo diventare quel metodo, grazie al servilismo di giornali questurini, una prassi di governo e di opposizione. E abdicando così dal proprio ruolo di oppositore sui contenuti e di credibile alternativa di governo. Un suicidio perfetto.

Ma sappiamo di che pasta sono fatti questi. La cosa gravissima, ma gravissima davvero per ogni liberale vero, è invece come questo culturame sia allignato anche nell’altro campo, quello che invece ha sempre fatto del garantismo e dell’indipendenza della politica dalla magistratura il proprio faro, e che invece ha finito pure lui con il partecipare al sabba del giustizialismo, del travaglismo, del woodcockismo. E naturalmente sempre a corrente alternata: garantista quando si parla degli affaracci tuoi, giustizialista quando invece ci sono di mezzo gli affari degli altri. Che pena.

Morale. Sono tutti uguali. Centrosinistra, centrodestra, grillini. Tutti allineati e coperti sul mantra che dimentica la basilare legge della buona politica - meglio eleggere un politico capace sperando che sia onesto piuttosto che eleggere un politico onesto sperando che non sia un idiota – e che ci ricorda la più dura delle verità. Non cambierà mai niente, in questo paese di tartufi.

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