La Procura di Como
sul Viadotto dei lavatoi
«Grave approssimazione»

Chiesta l’archiviazione per l’indagine penale: nessun reato, ma solo perché non ci sono stati crolli

A volte è solo questione di fortuna. Se tecnici, progettisti, ma anche ex amministratori hanno scampato una possibile indagine penale a loro carico sulla situazione disastrosa del Viadotto dei Lavatoi, lo devono al fatto che «fortunatamente» (avverbio scelto dalla Procura, non nostro) lo stato di degrado del ponte che collega via Oltrecolle alla Canturina «non è sfociato in eventi disastrosi».

Il pubblico ministero Mariano Fadda, che dopo l’allarme sulla stabilità del viadotto aveva aperto un’indagine nell’estate 2017, ha chiesto l’archiviazione dei reati di crollo delle costruzioni e di frode nelle pubbliche forniture (entrambi a carico di ignoti). Il primo reato non è configurabile per questioni tecnico giuridiche: non è un cosiddetto reato di pericolo, ovvero non basta il rischio di crollo a far scattare la denuncia, ma serve che lo stesso si verifichi. Il secondo, paradossalmente, dev’essere archiviato perché la confusione del fascicolo del Viadotto negli uffici comunali è talmente caotica da rendere «impossibile interpretare gli inconvenienti esecutivi come una frode nelle pubbliche forniture».

Eppure la richiesta di archiviazione dell’indagine sullo stato di salute del ponte, costato 4,6 milioni di euro e aperto al traffico meno di vent’anni fa, suona come l’ennesimo sonoro schiaffo nei confronti di chi ha amministrato la città in quegli anni omettendo di vigilare su una delle opere viabilistiche più importanti per la città, assieme alla Tangenziale monca di Pedemontana.

Un’indagine lunga, quella della Procura, perché ha dovuto camminare parallelamente al lavoro sia dei tecnici nominati dal Comune subito dopo la scoperta dei gravi problemi strutturali del viadotto, sia dei periti nominati dal Tribunale nel corso dell’accertamento tecnico preventivo chiesto dalla stessa amministrazione cittadina.

Progetto inesistente

Il pubblico ministero titolare del fascicolo ha acquisito entrambi i lavori degli esperti - oltre che sentito a verbale, come testimone, l’ingegner Piergiorgio Malerba, l’esperto nominato da Palazzo Cernezzi al capezzale dell’opera pubblica sotto accusa - e concluso che gli accertamenti «hanno fatto emergere un quadro di gravissima approssimazione sia in sede progettuale sia in sede realizzativa». Innanzitutto perché - incredibile ma vero - manca «un vero e proprio progetto». Cioè il viadotto è stato realizzato senza che vi fosse una carta progettuale esecutiva (o, nell’ipotesi migliore, se c’era - ma nessuno è stato in grado di trovarla - è stata persa). Quindi perché non è stato rispettato l’iter «stabilito per opere» di tale importanza. Inoltre per «l’utilizzo di giunti inadeguati» e per «la mancata rimozione di opere provvisorie» che hanno compromesso negli anni la stabilità del viadotto.

Imprudenza e negligenza

Fatti gravissimi, insomma. E uno si chiede, a questo punto: e allora perché archiviare? Perché «si tratta di condotte colpose e come tali idonee a fondare una responsabilità civile e contabile, ma non penale». E inoltre perché è «impossibile», a causa della «caotica situazione progettuale» poter sbrogliare la matassa e trovare il bandolo di una possibile accusa di frode nelle pubbliche forniture.

Infine la Procura chiede di archiviare anche il mancato intervento del 2016 della giunta Lucini sul viadotto: «Anche la sottovalutazione mostrata dall’amministrazione all’indomani dei primi segnali di ammaloramento» è sì catalogabile come «imprudenza e negligenza» ma non ha nulla di doloso, per poter ipotizzare un’accusa penale. E per fortuna, verrebbe da dire. Perché se il caso viadotto fosse finito a processo voleva dire che oggi non parleremmo solo di imprudenza. Ma di fatti ben più tragici.

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