La scelta di Renzi
può far bene a Conte e Pd

“Vittorini se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato”. Con questa lapidaria e sarcastica citazione napoletana, Palmiro Togliatti, usando lo pseudonimo di Roderigo Di Castiglia con cui firmava i suoi articoli su “Rinascita”, salutò l’uscita dal Pci del grande intellettuale, fondatore della rivista “Il Politecnico”. La rottura, fu il culmine di una polemica tra i due su cultura e libertà politica che viaggia a distanze siderali dalle miserie di bottega (o ex Bottegone) che hanno determinato l’addio di Matteo Renzi al Pd. La differenza caso mai può stare nelle conseguenze. L’abbandono di Vittorini non ne ebbe sul moloch comunista del centralismo democratico dove si discuteva su tutto e poi si faceva quello che decideva il capo. Nel caso dell’ex sindaco di Firenze ed ex premier sul Pd, è un’altra faccenda. Anche perché Vittorini, grande pensatore, aveva un peso piuma dal punto di vista politico.

Innanzitutto bisogna capire il perché il Bullo ha deciso di anticipare questo addio stra annunciato. Non à facile. L’unica spiegazione è che abbia subito voluto tesaurizzare il quarto d’ora warholiano determinato dallo scaltro blitz che ha fatto nascere il governo Conte due.

Una scelta traumatica perché Renzi non è un dem qualsiasi. È stato il segretario più divisivo e osteggiato in un partito dove il lancio delle freccette al leader è lo sport più praticato, ma anche il capo che ha portato il Pd, nelle fatali elezioni europee del 2014, al massimo del consenso, il 41%. Un po’ come se Salvini se ne andasse, in un prossimo futuro, dalla Lega per mettersi in proprio. Al di là del destino di Renzi che deve tornare a piacere alla gente e non solo alla “gente che piace”, le domande delle cento pistole riguardano ora le sorti del governo e quelle del Nazareno. Nel primo caso le opinioni sono multiformi. Certo, il toscano farà valere il potere interdittivo di leader del terzo partito della maggioranza con Cinque Stelle e Pd e lo farà pesare nell’imminente infornata di nomine. D’altro canto, al di là delle aspirazioni di un ritorno a palazzo Chigi che è l’obiettivo coperto di questa scelta politica, non è detto che la telefonata di rassicurazioni fatta da Renzi al premier prima di annunciare la scissione equivalga al celebre hastag #enricostaisereno che portò alla destituzione di Letta. Perché all’elettrocalamita attivata dal senatore di Rignano con la scissione, al governo potrebbero restare attaccati ulteriori consensi. La provenienza è quella del magmatico habitat dei moderati. La scossa tellurica provocata nel Pd dall’addio di Matteo si è sentita anche all’interno di Forza Italia o almeno nella parte azzurra meno entusiasta dell’Opa lanciata da Salvini e, in apparenza avallata anche da Berlusconi, sul centrodestra. Coloro che da tempo indicano in Renzi, il vero successore di Silvio, dopo che tutti gli altri aspiranti sono finiti fuori gioco, forse hanno visto giusto. A ispirare la mossa dell’ex presidente del Consiglio, checché lui ne dica nell’intervista in cui annuncia l’addio, anche il ventilato ritorno al proporzionale puro, voluto dai Cinque Stelle e da una parte del Pd in funzione anti Salvini (un altro degli input che sarebbero alla base della scelta di Renzi). Con un sistema maggioritario un partito del cinque per cento o più non tocca palla. Nell’altro caso può diventare l’ago della bilancia per qualunque governo: Craxi con il Psi ci ha marciato per anni. Chiaro che l’ex leader del Pd, non può schierarsi per il proporzionale dopo anni di propaganda in favore di una legge elettorale che, parole sue, consenta ai cittadini di conoscere il nuovo governo la sera stessa delle elezioni. Ma adesso il sistema della Prima Repubblica gli farebbe più che comodo.

Alla fine, la partenza di Renzi potrebbe giovare anche al Pd, indicato non a torto dal suo precedente segretario, come un partito delle correnti. È venuta infatti meno quell’ambiguità di fondo presente dal giorno in cui Matteo si è seduto sulla principale poltrona del Nazareno per cui i Dem dovessero recidere le radici di sinistra. Ci sarà forse più chiarezza nel quadro politico che potrebbe ritrovare il centro protagonista e determinante in grado tanto di isolare le componenti sovraniste quanto di condizionare l’azione dei pentastellati finché il consenso li sorreggerà. A chi si straccia le vesti per l’addio di Renzi sarebbe consigliabile di guardare alla tagliente ironia di Togliatti, uno che un po’ di politica la masticava.

@angelini_f

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