Se negli Stati Uniti, patria degli editori puri, una famiglia storica come la Graham vende il “Washington Post” al fondatore di Amazon, è d’obbligo riflettere sul futuro del giornalismo, anche il nostro, strangolato negli ultimi cinque anni e ancora nel 2013 da un calo degli introiti pubblicitari che ha superato il 25%.
Colpisce, ma non è poi tanto strano, che un acquirente che ha fatto fortuna con il web, compri la vecchia cara carta stampata, ma Jef Bezos, non è certo uno sprovveduto e neppure un filantropo. Forse, l’inventore delle vendite di massa sul web ha visto quello che nessuno ha ancora intuito, e cioè il nesso tra un sistema logistico di vendita di oggetti in rete e il futuro dell’informazione. Conta più l’efficiente distribuzione che la severa costruzione dei contenuti? Torna ad aver ragione McLuhan con la sua massima del medium che è il messaggio? È certo che Bezos è stato più veloce dei padroni di Google e Facebook, i Brin e gli Zuckerberg impegnati a livello planetario nel contrastare la pretesa dei media di far pagare i propri costosi contenuti.
Prendendosi i quotidiani, ammesso che l’antitrust Usa, che é una cosa seria, lo possa consentire, sarebbero saltati dall’altra parte della barricata, trovando di colpo conveniente far pagare le notizie ai navigatori. E magari lo faranno presto.
Al di là di una disputa tutta americana e tra miliardari, certamente la vendita di uno dei pochi giornali nazionali d’America, famoso per lo scoop che fece cadere la presidenza Nixon, deve accelerare un’attenzione anche italiana, non solo tra gli addetti ai lavori, perché non é in gioco solo un’industria, ma la libertà di stampa e opinione..
Non sono poi tanto diversi da quelli italiani i dati numerici che hanno fatto saltare testate storiche nell’America che fu di Mark Twain, alcune delle quali salvatesi a stento solo perché capaci di riconvertirsi proprio sulla rete (e non è facile, non tutti l’hanno azzeccata).
È in corso una rivoluzione molto rapida e travolgente con aspetti qualitativi ambivalenti. La rete, libera e accessibile (anche se ancora nel decreto del “fare” si é combattuta in Parlamento una battaglia di retroguardia sul wi-fi), offre un formidabile fai-da-te informativo. Per di più portatile, addirittura tascabile. Da oggetto (di pressioni, influenze politiche e culturali) il cittadino diventa soggetto protagonista, organizzando da solo priorità e palinsesti.
Certo il giornalismo moderno deve sapersi convertire. Tutto è già noto al pubblico prima che alzino la saracinesca le edicole (non a caso oggi minacciate nell’esistenza) o che parta la sigla del Tg della sera. Nella competizione vincerà chi offrirà di più e meglio rispetto al web.
Il quotidiano stampato non può battere il web in velocità e completezza, perché non può inseguire - come é possibile in rete - gusti, tendenze, aspettative persino individuali.
Il giornalismo vintage che piace persino a Bezos vince ancora, però, in professionalità e profondità. Vince perché può ancora filtrare, interpretare, spiegare le notizie. Potrà bastare?
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