La stretta di Conte
e la ripresa da inventare

Non ci sono regioni “verdi” in Italia, nessuna è esente dal contagio, ma ci sono ben quattro regioni rosse: Lombardia, Piemonte, Calabria e Val d’Aosta. Tutte le altre si muovono tra un livello medio-basso di contagio ed uno elevato. Giuseppe Conte ha illustrato in conferenza stampa e in diretta televisiva le decisioni legate al nuovo DPCM varato dopo un lungo confronto-scontro con le Regioni: il compromesso raggiunto ha fatto ottenere ai governatori che fosse il Governo, cioè il ministero della Salute, a decidere in quale categoria di gravità collocare le singole realtà locali. Una richiesta, la loro, che svela un timore sul consenso elettorale ma anche una vistosa contraddizione per quanti hanno passato gli ultimi anni a chiedere più potere e più autonomia. Ma queste sono le conseguenze della sfortunata riforma costituzionale del 2001 che confonde le competenze dei vari livelli istituzionali.

In difesa delle regioni è corso Matteo Salvini (da considerare che quattro su quattro delle “rosse” sono governate dal centrodestra) che, attaccando a testa bassa Conte e i suoi ministri, in qualche modo è venuto meno alla promessa fatta a Mattarella di mantenere contenuti i toni dell’opposizione: in epoca di emergenza e di pandemia il Capo dello Stato non vuole neanche sentir parlare di ostruzionismo, come invece si temeva che potesse accadere.

E’ stato Silvio Berlusconi a portare Salvini e Giorgia Meloni su questa linea di moderazione (tanto è vero che sulle comunicazioni del presidente del Consiglio in Parlamento sull’ultimo DPCM l’opposizione si è astenuta e ha rinunciato ad un “no” di bandiera). Però Salvini si è rapidamente smarcato tornando a polemizzare per il ”mancato ascolto” da parte di palazzo Chigi “sulle mille proposte” che il capo leghista dichiara di aver presentato per far fronte al Covid e alle sue conseguenze. Che sono anche economiche, ora soprattutto nella zone rosse dove viene azzerato il commercio e naturalmente il turismo, la fieristica, la ristorazione (non le attività produttive che vengono preservate): per aiutare chi viene più penalizzato ieri sera Conte ha annunciato, forse per oggi, un nuovo decreto “Ristori” che dovrebbe comportare una ulteriore spesa di 1,8 miliardi che si vanno ad aggiungere ai 5,5 dell’ultimo provvedimento.

Si tratta di oltre sette miliardi di nuovo debito che portano il rapporto deficit-PIL al 10,7-8 per cento, cioè al limite previsto nell’ultimo documento di politica finanziaria presentato dal Tesoro. Esigenze di cassa che contribuiscono a rendere più forte la pressione per usufruire dei fondi del MES a tasso zero (anche se nessuno finora, neanche la Spagna, ha chiesto il prestito) ma anche ad accelerare sulla presentazione dei progetti che serviranno ai finanziamenti previsti dal Recovery Fund.

Per l’Italia sono previsti 209 miliardi tra prestiti e sovvenzioni a fondo perduto, una cifra enorme ma per incassarla bisogna presentare dei progetti molto ben precisati e non una semplice lista di desiderata: secondo chi ha visto le carte, l’Italia sarebbe molto indietro nel rispettare questa procedura mentre gli altri beneficiari del Fondo, a cominciare dai polacchi e spagnoli, avrebbero fatto una buona parte del lavoro.

Poiché già a gennaio ci sarà un primo momento di verifica in sede comunitaria, Mattarella anche se questo pare che si sia fatto vivo con Conte chiedendogli di spingere i ministri a fare quello che devono. Si sa, anche se pochi ci hanno fatto caso, che la prima lista presentata a Bruxelles dall’Italia è stata rimandata al mittente per eccessiva genericità: non si può fare il bis. Anche perché se non si presentano i progetti i soldi non arrivano e la ripresa che tutti vagheggiano rischia di allontanarsi ancora di più.

© RIPRODUZIONE RISERVATA