L’amara Mondovisione
del maturo Ligabue

Nuovo album a tre anni da “Arrivederci mostro”. Quattordici canzoni che non stupiranno i fan ma che liberano l’animo preoccupato di Luciano

La visione del mondo di Luciano Ligabue non è rosea: la terra è una palla di carta stropicciata che galleggia nell’infinito e i testi delle canzoni del nuovo album dell’artista emiliano non fanno che confermarlo. Si intitola “Mondovisione”, arriva a tre anni da “Arrivederci mostro” e, superato l’inevitabile momento nostalgico del ventennale di carriera (che è coinciso anche con i cinquant’anni dell’uomo), ecco che si riparte.

Musicalmente queste quattordici canzoni non diranno nulla di nuovo a chi ama il cantautore e viene da tirare un bel sospiro di sollievo nel constatare che, almeno lui, non ha l’ansia di cambiare e di stupire a tutti i costi. Percorre una via (Emilia) al rock e, a parte i suoni attuali e maggiori finezze in sede di arrangiamenti e produzione, il suono generale non si discosta molto da quello che ci si aspetta da lui.

Va detto che è un disco “grosso”, brani corposi fatti per lasciare il segno, molto orecchiabili, per colpire al primo ascolto. Sono i testi, invece, ad apparire assai più crudi e diretti che in passato. Per sua stessa ammissione Luciano «non è mica mai stato uno che te le mandava a dire» (questa frase va letta immaginando un fortissimo accento reggiano), ma in passato prevalevano la speranza, la voglia di cambiare, il desiderio di superare le difficoltà.

Ma, a 53 anni, tanti di questi trascorsi su e giù da un palco, ma sempre gravitando attorno al rock che ha scelto come mezzo espressivo, con alle spalle milioni di dischi venduti, folle oceaniche negli stadi, libri best seller, film-culto, «nel mezzo del cammin della sua vita» (cita Dante, ma anche Carducci) non ha gettato la spugna, ma prevalgono l’indignazione, la sensazione di impotenza, la constatazione che siamo sempre ben lontani a vivere nel migliore dei mondi possibili.

Una sensazione lampante fin dall’iniziale “Il muro del suono”: «È soprattutto la sensazione che ci sia una sorta di caos: un rumore di fondo che ci imprigiona, ci ingabbia, non ci permette di ascoltare. Ho dato un po’ sfogo alla mia indignazione, tenendomi una possibilità aperta nei ritornelli», ha detto presentando un’opera matura, costruita assieme alla sua band (il produttore è Luciano Luisi, che suona con Ligabue dal 2008).

Disillusione anche ne “Il volume delle tue bugie”, in questo caso quella di una ragazza che, come scriveva Cole Porter, «ha chiuso con l’amore».

“Il sale della terra” è una citazione del Vangelo di Matteo già adoperata dai Rolling Stones tanti anni fa: allora Jagger (con Richards che cantava una parte solista per la prima volta) esortava la classe lavoratrice, qui Luciano lancia un’aspra invettiva che fotografa tutto, dal disastro della Costa Concordia («Siamo il capitano che vi fa l’inchino / siamo la ragazza nel bel mezzo dell’inchino»), alla finta - non fanta - politica («Siamo la promessa che non costa niente / Siamo la chiarezza che voleva molta gente»), al malcostume quotidiano («Siamo la vittoria della tradizione / Siamo così furbi che più furbi di così si muore»). Un po’ di requie con la ballata “La neve se ne frega”, molto coinvolgente, ma c’è anche la scossa, quella tellurica, di “La terra trema, amore mio”.

Se Springsteen, modello imprescindibile, cantava “She’s the one”, “Tu sei lei” è, anche secondo lo stesso Luciano, «Una dichiarazione d’amore di tipo definitivo», scelta come secondo singolo.

“Con la scusa del rock’n’roll” chiude il trittico iniziato con i “Sogni” di tanti anni fa. Tra gli altri brani personali, il quadro familiare di “Per sempre” e il lutto di “Ciò che rimane di noi” mentre “Nati per vivere (Adesso e qui)” tira le orecchie a quei colleghi che inseguono e diffondono un’immagine da maledetto a tutti i costi (ogni riferimento ad altri rocker emiliani è, naturalmente, pura malignità) mentre “Siamo chi siamo” è un invito a guardare in faccia la realtà, senza confondere i sogni con le inutili illusioni.

Perché “Sono sempre i sogni a dare forma al mondo”, un mondo che però, per ora, è tutto appallottolato nello spazio indifferente.

Alessio Brunialti

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