Non c’è ripresa senza occupazione. Non è uno slogan, ma un timore che adesso si può colorare di speranza con gli ultimi dati che riguardano la provincia di Como. Né è stata preoccupazione solo dei sindacati: è passata questa visione del mondo, sono scomparsi molti steccati, travolti anche dalla crisi.
Ad alimentare la fiducia ci sono due fasi e una stessa percezione: le imprese vogliono assumere e provano a farlo ancora. Magari con prudenza, di qui anche il calo del tempo indeterminato che è forse davvero più psicologico come sostengono gli stessi imprenditori. Tuttavia, questo desiderio è manifesto. Questo bisogno, di fronte a segnali economici che non sono tali da celebrare alcun traguardo, ma fanno sentire di trovarsi finalmente a un nuovo punto di partenza.
Il luogo della gara è sempre quello, il mondo, il mercato immenso e fragile che ti chiede tutto e niente, con la stessa rapidità.
Le due fasi che abbiamo monitorato in questi mesi ci raccontano che l’occupazione sta riprendendo. Con tutte le sue nuove fragilità o con il suo nuovo modo di porsi, a seconda della chiave di lettura, ma si sta muovendo. Il primo semestre in provincia di Como – secondo il Quadrante del lavoro della Regione – ha mostrato che c’è un netto saldo positivo tra avviamenti e cessazioni: parliamo di un più che vale oltre 4mila posti, o meglio persone, famiglie, contesti sociali. E la prima parte dell’anno non è stata facile per il territorio, perché è vero che il turismo cresce, ma deve attendere la primavera. E perché il tessile ha vissuto settimane poco confortanti. Tant’è che nel paragone dei dati occupazionali, Lecco – più legata al metalmeccanico – dava segnali di maggiore vitalità a Como.
Seconda tappa, il futuro. O meglio il presente, perché il dato riguarda le assunzioni a partire dal mese in corso e fino a ottobre. Qui l’indagine Excelsior – quindi eseguita tra le stesse aziende – ci dice che la richiesta di personale continua. Che anche in questo caso servizi, turismo e commercio stanno spingendo la ripresa pure sotto forma di posti di lavoro.
Ma non sono soli. Il manifatturiero sta investendo, a partire dal comparto metalmeccanico, sui macchinari. Non può tralasciare un investimento che è anche più prezioso, quello sul personale. Cerca energie per governare i cambiamenti, per crescere sui mercati internazionali, per gestire e far fruttare la digitalizzazione che è entrata in tutte le vite, e in tutti i comparti del lavoro. Lo fa, tra mille difficoltà, perché abbiamo visto come i profili più richiesti siano quelli specializzati, che scarseggiano. Persino nella vicina Svizzera, tranne il Ticino che può contare proprio sulla nostra manodopera, attratta da stipendi più elevati.
Quella manodopera però fa gola, perché è preparata, ed è preparata perché quest’onere se lo addossano spesso le aziende.
Si è assunto in questa prima parte dell’anno, si dichiara di volerlo fare ancora. E questo significa – oltre all’impatto fondamentale sull’esistenza di migliaia di persone – che si possono gettare basi più solide per la ripresa. Perché quest’ultima deve passare da una via obbligatoria: una maggiore consistenza della domanda interna. L’export è stata e rimane la salvezza di molte imprese, tanto più con un made in Italy che è apprezzato in tutto il mondo, ma non può essere l’unica strada; altrimenti, se non rischia di diventare un vicolo cieco, comunque non ci farà raggiungere una destinazione sicura.
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