Le parolacce, Fini e la ricerca di visibilità


Se le parolacce servissero a risolvere le cose, ben vengano: calde e incontinenti, sarebbero una spia che qualcuno, rischiando d’immagine, lotta davvero con anima e corpo per noi; ma quello “stronzo” pronunciato a freddo da Fini, in un incontro con studenti, è solo e tutto volgare, e c’è da giurarci che gli studenti stessi quella parola non la ripeteranno. E si sentiranno pure più tranquilli, e più padroni delle loro reazioni, proprio come quel giornalista del Tg5 che, fermandosi alla soglia della parola incriminata, si è limitato a parlarne come di un “epiteto colorito”.

Gianfranco Mortoni


È vero che Fini ha usato quel termine freddamente. Gli serviva per esprimere in termini popolari (populisti, accusano gli avversari) la sua idea d’antirazzismo mediante il linguaggio usato dagli studenti. E non solo dagli studenti. Senz’altro ha fatto breccia nelle pance, se non nei cuori: l’eco seguita all’esternazione ne è la prova. Non ricorrendo a quel termine volgare (perché rimane un termine volgare: nessuna personalità è così autorevole da sdoganarlo), la sua valutazione negativa verso quanti avversano gl’immigrati non si sarebbe levata il velo grigio del politicamente corretto. Cioè della banalità. E nessuno vi avrebbe fatto caso. Invece vi han fatto caso tutti e le critiche ricevute sono un dazio pagato volentieri dal numero due del Pdl purché il suo messaggio circolasse. Questo e altro si fa per sconfiggere la concorrenza d’agguerriti avversari nella propria maggioranza (i berluscones e la Lega) e nell’opposizione (l’Idv dipietrista e l’Udc di Casini: il Pd non dà segni d’un movimentismo capace d’inquietare). Naturalmente ci si domanda: siccome Fini è anche (è soprattutto) il presidente della Camera, ovvero la terza carica istituzionale della Repubblica, può permettersi d’infrangere regole che impongono prudenza, senso della misura, rispetto delle forme (comprese quelle verbali), atteggiamenti esemplari? Naturalmente ci si risponde: non può. Né gli conviene. Impippandosene di quel che prevede il suo ruolo, ne sminuisce il profilo. E così facendo, favorisce proprio il decadimento dell’osservanza d’un insieme di leggi scritte e non scritte che porta il suo bravo contributo anche all’estremizzarsi dell’insofferenza verso gli stranieri. Nell’Iliade racconta Omero: largo è il pascolo delle parole. E allora perché restringerne la scelta seguendo le mode e trascurando i modi? Il vantaggio che s’immagina d’aver conseguito con una battuta fa in fretta a volgersi nello svantaggio sul lungo periodo. E si rischia di finire battuti, alla resa finale dei conti.

Max Lodi

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