La solidarietà è una scienza esatta e viaggia su due assi cartesiani: quello del bene e quello del vero. Noi siamo al centro e possiamo scegliere se tendere a questi due valori (infiniti). Nel quadrante opposto ci sono paura e ignoranza.
È con disarmante semplicità che giovedì sera, per la rassegna delle Primavere di Como, Toni Rüttimann ha spiegato la formula che tiene in equilibro la sua vita estrema, in perenne tensione e resistente, proprio come lo sono i ponti sospesi che costruisce nei paesi più poveri. Davanti al pubblico del Teatro Sociale occupato fino al loggione Toni Rüttimann, si è presentato solo, a palcoscenico spoglio, per raccontarsi. Con lui siamo saliti in alto, sui cavi di un ponte sospeso e abbiamo visto centinaia di persone lavorare insieme e come, con lo forza di ciascuno, per quello che ognuno può, in un’armonia operosa, si possa costruire l’impossibile. Un sognatore certo, anche. Ma i suoi ponti su immensi fiumi in luoghi remoti costruiti senza costi da volontari inesperti esistono davvero. Il nostro scetticismo di occidentali disincantati e stanchi quella sera è rimasto fuori dal teatro, bloccato dai dati di realtà di un idealista, pragmatico filantropo svizzero.
Qual è la scintilla del cambiamento? È un’esperienza. È toccare, sperimentare, vedere come ciò che pensavamo impossibile sia possibile.
Non sono le parole, le idee che provocano il mutamento di una rotta. Come inutile è il ripetere astratte esortazioni all’innovazione, che nessuno sa definire, sappiamo solo farne degli esempi, appunto. Funziona invece attraversare un’esperienza, come un guado, che insegna comportamenti possibili, nuovi. Se l’esperienza è collettiva, si rompe l’inerzia e si provoca un cambiamento sociale. Le Primavere organizzate da La Provincia di Como stanno disseminando cambiamento, serata dopo serata, attraverso una serie di esperienze che centinaia di persone condividono. È un pubblico eterogeneo, spesso numeroso, un flusso in divenire che ha compreso come in quelle serate si stia giocando un’occasione per la città.
Con Toni Rüttimann abbiamo scoperto che idealismo e senso pratico possono essere due leve complementari e senza contraddizione. Pochi giorni prima l’opera raccontata di Francesco Micheli, “L’elisir d’amore off”, ha risvegliato l’orgoglio per la nostra arte e creatività, per quel valore che agli italiani è riconosciuto nel mondo e che noi, ironici fino all’autolesionismo, misconosciamo. Anche in quella serata la presa di coscienza condivisa ha amplificato l’emozione, l’ha resa indimenticabile e ha portato ad evidenza che il “luogo” non è neutro, anzi. Quando il coro 200.com ha concluso lo spettacolo trascinandoci tutti in un tempo in cui la grande musica era cosa di famiglia e i teatri d’opera preziosi luoghi di un rito collettivo, il nostro Sociale si è tolto la maschera e si è rivelato laboratorio attivo e vitale di cittadinanza.
Ripercorrendo a ritroso gli appuntamenti delle Primavere, ora che sono prossime alla conclusione sabato 28 maggio con Luciano Canfora, si riconosce un disegno. L’Occidente della lectio magistralis di Silvano Petrosino è stato capace di inventare valori irrinunciabili come la libertà individuale, così connaturata nel nostro modo di essere che non la consideriamo in discussione e che invece potremmo trovarci a dover difendere, come appare nella prospettiva del mondo descritto con spietata lucidità da Lucio Caracciolo. La sua fotografia geopolitica che tempo fa ha raggelato la platea vede l’Occidente in ripiegamento e un’Europa pressoché insignificante. Rincarò, precedendolo, Moni Ovadia in uno spettacolo mirabolante e seguitissimo. Dalla sua privilegiata veduta trasversale per storia arte e cultura ha fustigato l’arroganza, la prepotenza dell’Occidente coloniale e ha espresso il suo terribile oracolo: le migrazioni epocali che viviamo sono la nemesi che meritiamo, salvo poi consolarci: il melting pot c’è sempre stato e dà anche buoni frutti. Il disorientamento e la disgregazione erano già stati posti a paradigma da Gianvito Martino, neurobiologo, incontrato all’alba delle Primavere perché ci rivelasse il nostro essere in perenne divenire, senza che la teologa Cristina Simonelli potesse fare da contraltare e lenire il nostro smarrimento. Punti di vista eterogenei che, accostati, non rivelano un’idea sulla quale confluire, ma un processo al quale partecipare. Nelle serate delle Primavere non è stata somministrata a piccole dosi una tesi precostituita, piuttosto è stato generato un processo di esperienze e ragionamenti che ha disgregato qualche stereotipo, instillato dubbi e speranze, suscitato emozioni. Un processo aperto a tutti, vissuto insieme dalla città che ha scelto di esserci. In queste serate, controluce, si vede formarsi una comunità nuova di pensiero e di sentire.
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