L’eterno belpaese,
piagnistei e leccapiedi

Il problema dell’Italia non è il fascismo. Né, tantomeno, il comunismo. Il problema dell’Italia è il leccapiedismo.

La notizia più spassosa della settimana - per distacco - ruota attorno alle manovre per le nomine dei nuovi direttori, vicedirettori, presentatori e intrattenitori della Rai. Appena ha iniziato ad avvicinarsi il momento in cui il governo, il governo di destra, il governo della Meloni, insomma, il governo dei cattivi, deciderà chi mettere sulle varie poltrone della televisione di Stato è partito - puntuale come la morte - il piagnisteo degli epurati.

Una vergogna. Uno scandalo. Uno sfregio. Un vulnus intollerabile alla professionalità, alla serietà e alle terzietà di altrettanti premi Pulitzer del giornalismo patrio, tutta gente che si è conquistata i galloni mica grazie alle tessere o alle appartenenze o alle filiere - siamo matti? - ma solo e soltanto a forza di servizi e scoop e inchieste, tutta gente che ha battuto i marciapiedi consumando la suola delle scarpe e ha fatto nottata a caccia di notizie con la sigaretta in bocca e l’impermeabile spiegazzato e il cappello sulle ventitré senza guardare in faccia a nessuno, senza fare sconti al potere, sempre adesi, coesi e protesi al bene comune, alla difesa degli ultimi, alla salvaguardia degli umiliati e degli offesi. E, soprattutto, tutti quanti allineati a respingere come un sol uomo la marea nera, il fascismo alle porte, la canea autoritaria machista, sessista e avanguardista. La Brigata Via Teulada è pronta a salire sui monti.

Uno spettacolo talmente surreale - più consono a Monicelli che a Rossellini… - da regalare momenti di buonumore purissimo, visto che è dai tempi dei tempi che la Rai è il brodo di coltura del nepotismo, del conformismo, dell’amichettismo, del terrazzismo, del salottismo, del fariseismo, insomma, come si ricordava all’inizio, del leccapiedismo. Leccapiedismo rigorosamente di sinistra, come ovvio, visto che basta dare un’occhiata distratta alla formazione culturale, politica, e soprattutto amicale e relazionale, della sua dirigenza per capire di cosa stiamo parlando. In pratica, i protagonisti di “Ecce bombo” trent’anni dopo. E allora va bene che noi siamo dei fessi e facciamo parte integrante del popolo bue e che è una vita che ce le beviamo tutte, ma proprio tutte, le panzane della culturetta ufficiale che ruota intorno ai soliti giri e che tiene tutto assieme - televisione, cinema, teatro, case editrici, premi, premietti, menzioni, segnalazioni, incarichi, consulenze, comparsate e bla bla bla - però arrivare a indossare pure i panni dei partigiani della libera cultura nella libera televisione nel libero Stato di Bananas messo sotto assedio dagli squadristi della Garbatella è una trovata degna del Fellini di “Amarcord”.

Fortuna che ora è arrivata la destra. Dalla quale, grazie alla sua freschezza, la sua giovinezza, la sua purezza coltivata in anni e anni di sana e vigorosa opposizione, uno si aspetta fiducioso che smonti questo pateracchio pseudo gramsciano - senza offesa al povero Gramsci, che chissà quante volte si sarà rivoltato nella tomba a vedere che strame hanno fatto i suoi sedicenti eredi del concetto di “intellettuale organico” - per dare finalmente spazio al merito, alla competenza, al valore, alla preparazione e, soprattutto, alla sacrosanta indipendenza e alla laicità assoluta che deve rappresentare la ragione sociale dell’informazione pubblica. E infatti...

I peggio mostri, i peggio segnalati e raccomandati e attenzionati e quello che lo porta quell’altro e quella che la segnala quell’altro e quello lì che è in quota di quello là e quello là che è nella corrente di quello lì e lo strapuntino all’amico d’infanzia e la consulenza a mio cugino e la vicedirezione a quello che non capisce una mazza, ma almeno non combina guai al partito, e tutto un trionfo di piaggeria e servilismo e cooptazione opaca e familismo amorale che abbiamo gustato per anni dall’altra parte. Perché il leccapiedismo di sinistra è una cosa brutta, ma in quanto a spazzolamento di scarpe il leccapiedismo di destra non prende lezioni da nessuno.

Cambia sempre tutto - nella Rai, nell’informazione, negli uffici, nella vita - perché non cambia mai niente. La televisione di Stato continuerà a essere la solita televisione di Stato, gli oscuri funzionari, i consigliori fantozziani, i ciambellani del Grande Capo (fino a quando è in sella, poi chi lo conosce?) cambieranno semplicemente faccia o registro e ora riveriranno tutti in mandria questi qui come prima riverivano tutti in mandria quelli là. Alla fine, come sempre in questo paese meraviglioso, finiranno con il mettersi d’accordo, dare una fetta di torta a tutti e innanzitutto - unica vera linea editoriale condivisa - garantire al generone aziendale la sacralità inossidabile della pausa caffè. Mentre in questa vicenda gli unici che continueranno a contare meno di zero saranno gli spettatori. Ma d’altra parte, a qualcuno interessa forse degli spettatori?

Così come ci si domanda inutilmente quando mai arriverà sulla faccia della terra un presidente del consiglio che faccia l’unica cosa seria e di buonsenso. Prendere la Rai e privatizzarla. Perché i privati avranno i loro difetti e le loro opacità e i loro referenti politici, ma almeno si sa chi sono, da dove arrivano e dove vogliono andare e, in particolare, ci evitano la pantomima di quelli che predicano di essere neutrali e al di sopra dalle parti e che invece senza il permesso del capostruttura lottizzato dal partito tal dei tali non hanno il coraggio di mandare in onda neanche il meteo.

Brutta bestia, il potere. Serpe sinuosa, avvolgente, allappante e accecante, che non cambia le persone, ma le rivela. Ce ne eravamo accorti tanto tempo fa, quando abbiamo finalmente capito perché i liderini del Sessantotto odiavano così tanto il potere. Semplice. Perché non ce l’avevano loro. Perché mai i loro equivalenti di destra dovrebbero essere diversi? In fin dei conti, siamo tutti italiani. Una faccia, una razza, una Rai.

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