L’ideologia e la fatica
di capire la storia

Nella vita ci sono solo tre cose certe: la morte, le tasse e le vergognose polemiche tra i partiti sul Giorno del Ricordo. E infatti, anche quest’anno, quando è arrivato il 10 febbraio e appena è stata divulgata una circolare del ministero della Pubblica istruzione che invitava le scuole a considerare il valore di quella celebrazione - avventurandosi però in un pasticciato e improprio parallelismo tra foibe e Shoah - è bastato contare fino a tre.

Poi, è stato subito Circo Barnum. Da una parte, gli immarcescibili, polverosi tromboni di sinistra con tutto il loro linguaggio carducciano e dannunziano (ma non era un fascista pure lui?) e basta e vergogna e aberrante e inaccettabile e ignobile travisamento e intollerabile attacco ai principi della guerra partigiana e revisionismo e negazionismo e dagli ai nuovi fascisti e dagli all’onda nera montante e dagli allo squadrismo 4.0 e tutto il resto della litania resistenziale con la quale ci ammorbano da settant’anni. Dall’altra, i non meno garruli e strepitanti tromboni di destra e basta e vergogna e censura e regime e via il velo dalle vergogne comuniste e scoperchiamo il conformismo dei poteri forti e dagli alla dittatura culturale degli ebrei e dei loro amici e dagli ai fomentatori di odio che ci vogliono ghettizzare per sempre fuori dall’arco costituzionale e dagli alle conventicole che silenziano chi non la pensa come loro e tutto il resto del piagnisteo con il quale ci ammorbano da trent’anni.

Ora, come avranno capito tutti quelli che hanno un minimo di sale in zucca e non hanno ancora portato il cervello all’ammasso, qui di ricerca e analisi storiografica non c’è nulla. C’è solo il penoso tentativo, ancor più penoso vista la tragicità dell’argomento, di ritagliarsi uno spazio, di difendere una rendita di posizione, di sventolare il vessillo dell’appartenenza che viene messo in pratica, a destra e a sinistra, su qualsiasi argomento: l’elezione di Mattarella, la fibra ottica, la dieta vegana, l’ora di religione, il carburatore del Garelli, il premio Nobel alla letteratura, gli esterni di centrocampo nel tre-cinque-due, il riscaldamento globale e, ciliegina sulla torta, le stragi etniche e ideologiche. E’ tutto uguale, tutto fa brodo, tutto vive nell’istante del sondaggio, nell’emozione bovina dell’epidermide, nel like ottuso di qualche poveraccio che parla di cose che non conosce e che ha bisogno di sentirsi protetto dentro una qualche tribù e di vomitare insulti su qualcosa di cui non sa nulla, ma che gli viene spacciata come nemica.

Interessa a qualcuno individuare l’oggetto di un’analisi storica sulle foibe, cioè i massacri dell’estate 1943 e quelli della primavera 1945? Interessa a qualcuno una seria individuazione delle fonti documentali coeve e successive? Interessa a qualcuno lo studio comparato delle diverse interpretazioni storiografiche sul tema e la collocazione di quell’evento dentro il suo tempo? Soprattutto, interessa a qualcuno capire che la ricerca storica è complessità, fatica, interpretazione e ridiscussione continua e che equiparare i milioni di morti dei lager ai diecimila delle foibe è una stupidaggine, ma che è scorretto imporre l’esistenza di un totem secondo il quale esiste solo e soltanto una Strage e tutto il resto non conta niente?

Questa non è storia. Questa è politica, ma del livello più basso e deteriore, che con i suoi arzigogoli, i suoi latinorum e i suoi busillis usa pezzi di storia come una mazza ferrata da scagliare in faccia ai nemici per screditarli. Quanti danni ha fatto l’ideologia della resistenza permanente e del fascismo eterno alla maturità del nostro paese? Quante macerie ha lasciato il rifiuto della realtà e cioè che il fascismo è stato un fenomeno storico nato nel 1919 e morto - per sempre - nel 1945 che si è sviluppato in Italia su basi ideologiche e in Germania su basi biologiche, che ha interpretato le frustrazioni e le velleità del ceto medio emergente e che in quei termini non è più riproponibile? Averlo eternizzato è stato un mero strumento per scomunicare chiunque non fosse figlio della guerra partigiana - guerra civile, tra l’altro, non guerra di liberazione - e per imprimere il marchio d’infamia del fascismo sulla destra, su qualsiasi tipo di destra, anche adesso, anche nel 2022, che pensare a Salvini e Meloni come nuovi fascisti onestamente fa ridere. Anche perché quei due, spesso e volentieri, fanno ridere per ben altri motivi.

Il silenzio sulle foibe nasce da tante ragioni intrecciate. Tito, dopo la rottura con Stalin, era diventato utile all’Occidente e non si poteva certo metterlo in imbarazzo con quella brutta faccenda. Poi, a sinistra non si poteva infangare il mito resistenziale dei partigiani jugoslavi. E, infine, la cosa è ancora più complicata, perché in quella strage si sommavano una componente etnica contro gli italiani, ma anche una ideologica contro i non comunisti - vennero uccisi pure tanti sloveni e croati - e infine una di guerra nazionale.

Quindi le foibe sono identificabili e paragonabili allo sterminio pianificato, industriale e ingegneristico degli ebrei? Ovviamente no. Ma mettersi a fare la gara a chi è più martire dell’altro e a chi possiede l’esclusiva del dolore è un esercizio ambiguo e stucchevole. È tutto molto complesso, come sempre, ma ora chi lo dice ai nostri imbonitori di Twitter?

Il carro della storia avanza da millenni su un sentiero lastricato di cadaveri, di dolore e di ingiustizia, e questo mai come nel Novecento, il secolo più grandioso e terribile dell’umanità, e ci vorrebbe un grande rispetto per chi lo studia. Invece, non c’è nulla di più penoso e ignobile di vedere questi scappati di casa, questi ignorantoni finiti in Parlamento solo per cooptazione o affiliazione o servilismo contendersi lo Scettro della Verità allo stesso modo di un branco di cocker con una vecchia ciabatta. Statevene zitti, almeno il 10 febbraio - e il 25 aprile - e vergognatevi e andate a studiare, che siamo stufi di pagarvi lo stipendio.

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