C’era una volta il federalismo. Prima l’utopia dell’abate Gioberti, che vedeva Pio IX a capo dell’Italia unita, poi il moderno riformismo di Carlo Cattaneo. Loro volevano un federalismo per unire. Poi, molto tempo dopo, é venuto l’ossimoro del federalismo per separare.
Di quel progetto sembra che resti oggi ben poco. Le larghe intese non danno credito neppure all’unico frutto positivo di quella stagione: l’adozione dei costi standard per la spesa.
C’é solo un motto elettorale, la “macroregione”, che dovrebbe trattenere per sé una percentuale di risorse fiscali in realtà poco più alta di quella già oggi destinata al suo territorio. Ma non si creda che il federalismo sia solo la bandiera di un’epoca tramontata con la sconfitta elettorale. I suoi effetti concreti sono ben presenti nella finanza pubblica nazionale, perchè la politica di Tremonti, che oggi siede al Senato con la Lega, ha già lasciato un segno.
Il segno delle riforme a due tempi, come quelle di Monti. Ricordate? Prima facciamo l’austerità, poi penseremo allo sviluppo. Abbiamo avuto la prima in tutta la sua potenza; per lo sviluppo non c’è stato tempo. Così per il federalismo: prima facciamo far sacrifici ai territori, poi arriverà il sole dell’avvenire federalista, e tutti saremo felici.
Non è andata così. Per anni, Regioni e soprattutto Province e Comuni hanno dovuto ingoiare il rospo, in nome della terra promessa. Poi, quando si doveva finalmente varare il federalismo fiscale, non c’è stato tempo (e forse é stato meglio così).
Sono le cifre a parlar chiaro. Negli ultimi venti anni, le tasse nazionali sono cresciute “solo” del 95%. Ma le tasse locali, le sole addizionali comunali e regionali sono cresciute del 573%!
Il federalismo di Tremonti, confermato da Mario Monti, ha infatti tenuto a stecchetto gli enti locali, trasferendo loro solo il 20% in più di quanto il morente pentapartito trasferiva nel 1992. Peccato che la spesa corrispondente, nello stesso ventennio, sia cresciuta del 125% .
I principi erano buoni. Conferire responsabilità impositiva in periferia doveva dare più certezze nella lotta all’evasione, più trasparenza tra il contribuente e l’Ente locale che lo conosce da vicino. E’ stato invece un comodo “arrangiatevi” lanciato a Sindaci e presidenti di Provincia, e il gettito delle sole sovrattasse comunali è salito da 500 milioni a 4 miliardi.
Il cittadino, peraltro, non fa distinzioni. Tasse sono e tasse rimangono, anche se nel nome del federalismo. Di tutto questo è un pò un simbolo l’Imu, che dovrebbe essere, come ovunque nel mondo, un’imposta comunale. Sta di fatto che per gli amministratori locali tutto ciò è stato un autentico martirio.
Vent’anni di preteso federalismo hanno insomma complicato i rapporti tra le parti dello Stato, qui anche con la responsabilità del centrosinistra che - quando pensava, con Bassanini, di tacitare il leghismo federalista inseguendolo - cambiò il titolo V della Costituzione dando luogo ad un pasticcio che paghiamo tuttora con infiniti contenziosi sulle competenze.
C’era una volta, e c’è ancora, il federalismo. Quello che divide.
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