Tutto è cominciato alcuni anni fa con il “Nano”. Fu lui, Giuliano Bignasca, padre padrone della Lega dei Ticinesi scomparso nel marzo del 2013, a tirare fuori dal cilindro l’idea del muro. Sì, una barriera alta quattro metri per separare fisicamente l’Italia, ovvero le province di Como e Varese, dal Canton Ticino. Un muro contro i frontalieri, accusati di rubare il lavoro agli svizzeri. Allora la trovata fu accolta, comprensibilmente, come una boutade, al più una provocazione. Eppure, quella proposta nonostante la falsità del presupposto – i lavoratori italiani non solo non danneggiano l’economia ticinese ma contribuiscono in misura decisiva alla sua fortuna – si è via via sedimentata e su di essa, nel giro di quattro anni, si è basata tutta la campagna politico-mediatica contro i frontalieri.
Ieri il muro di Bignasca, oggi il voto di Prima i nostri con gli elettori ticinesi (non molti per la verità quelli al voto) che lo scorso 25 settembre hanno ribadito la necessità di tutelare la manodopera locale con una corsia preferenziale nella ricerca di un posto di lavoro. Uno spot ai sentimenti di patria, destinato a non avere effetti pratici. Una ulteriore dose di veleno che è servita in ogni caso a esasperare convinzioni e soprattutto stati d’animo delle due parti.
La politica ha lucrato sulle tensioni di confine ed anziché lavorare per risolvere i problemi ha quasi sempre alimentato lo scontro. Spesso usando l’arma dell’invettiva, quando non dell’insulto più volgare. Un partito svizzero, l’Udc, arrivò persino a rappresentare i lavoratori italiani come dei topi che mangiano a sbafo e sguazzano nel formaggio dell’economia ticinese. C’è da domandarsi cos’altro ci si potrà inventare per fomentare le divisioni. Tutte balle? Sì, pari ai populismi che fanno fortuna al di qua del confine, ma le parole, anche le più becere, lasciano delle tracce, provocano delle conseguenze. Può capitare che qualche squilibrato le prenda per buone. Può succedere – ed è ciò che è accaduto nei giorni scorsi a Como – che una persona in difficoltà prenda carta e penna e si metta a scrivere delle deliranti accuse ai ticinesi che vengono a fare la spesa nei supermercati comaschi. Ora ci si è messa pure la Migros con una campagna pubblicitaria ironica forse ma in ogni caso ostile e comunque ambigua perché alimenta la leggenda, totalmente falsa, che al di qua del confine, nei parcheggi dei centri commerciali comaschi, siano pronte ad entrare in azione bande di con il fine dichiarato di tagliare gli pneumatici alle auto dei clienti ticinesi.
Siamo su una strada pericolosa e che nulla di buono potrà portare alle province di confine e al Canton Ticino. Due Stati diversi, una sola comunità perché poi le relazioni delle persone si sviluppano a prescindere dalla linea di confine e ci fanno comprendere quanto a noi, gente di frontiera, sia naturale considerare la dogana come un punto di riferimento territoriale e non come un elemento di separazione, men che meno di divisione. Siamo una sola comunità nel campo della cultura e della formazione universitaria. Ma anche in quello dell’economia e non è raro il caso di aziende che hanno sedi in Lombardia e in Canton Ticino. Per non parlare delle abitudini quotidiani, della vita sociale di migliaia di persone che vanno e vengono dall’Italia per la Svizzera e viceversa e non si curano di tutto il ciarpame basato sul pregiudizio che la cattiva politica sforna a ritmo quotidiano e che la palude dei social network contribuisce a propagare. Un tempo, non lontano, le province italiane di confine e il Ticino avevano pure coltivato il progetto di dare vita a una regione autonoma transfrontaliera, così come in altri territori europei. Ne è sortita la Regio Insubrica che per tante ragioni forse assomiglia poco a quel che i fondatori avevano in testa. Il risultato non è stato pari alle ambizioni originarie ma quanto sarebbe utile tornare allo spirito di allora, cercare di alzare lo sguardo dai dispetti di confine e pensare che questo territorio - stessa lingua e stessa cultura - deve iniziare a confrontarsi con il Nord Europa, magari unendo le forze.
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