Lucini ha fallito
e Como ora si svegli

E poi dicono che le cartoline non le scrive più nessuno. A un certo punto ne sono arrivate sessantamila in blocco ed è venuto giù tutto. Un ex sindaco in galera, una raffica di arresti e di indagati tra dirigenti, imprenditori e professionisti, una Regione tremebonda, un Comune allo sbando.

Coincidenze, naturalmente, editoria e magistratura percorrono sentieri ben separati che sconsigliano deduzioni maliziose. Ma la congiunzione astrale tra la grande campagna lanciata dal nostro giornale per denunciare la vergogna dei lavori sul lungolago - talmente efficace da essere finita sui media di tutta Italia e di mezzo mondo – e un’ondata giudiziaria da seguire e valutare nei suoi sviluppi regala almeno una solida e indiscutibile, per quanto amara, certezza. Lucini ha fallito. Ed è bruciato. Quattro anni fa ha vinto le elezioni grazie ai plurimi disastri della giunta Bruni ed è riuscito a prendere i voti di una delle città più moderate del paese solo e soltanto grazie all’indignazione popolare per lo scandalo paratie. E alla promessa di cancellarlo. E questo è quello che avrebbe dovuto fare. Punto. Il resto era del tutto secondario. E invece, a un anno dalla scadenza del mandato, siamo già certi che il patto non sarà rispettato e che la gestione della pratica è stata quanto di più fallimentare, condita da una serie di iniziative, sotterfugi e cocciutaggini addirittura grottesche che hanno portato al disastro di questi giorni.

E con la beffa, la nemesi, il contrappasso per una tipica maggioranza di centrosinistra che passa le giornate a ricordarci quanto siano chiare, fresche e dolci le sue acque e quanto lei sia pura e algida e adamantina e cristallina e specchiata e, soprattutto, antropologicamente superiore rispetto a quei lestofanti della destra e che invece si è fatta beccare con il sorcio in bocca di una plateale e reiterata violazione delle norme e delle leggi. E qui non c’entrano niente gli arresti – ricordandoci sempre che fino al terzo grado di giudizio sono tutti innocenti – quanto invece una cultura doppiomoralista che permette a se stessa quello che vieta agli altri. Pensate cosa sarebbe successo se Cantone avesse fatto a pezzi una variante firmata da Bruni e se quest’ultimo non avesse rispettato le indicazioni dell’Anticorruzione. Come minimo lo avrebbero bruciato vivo in piazza o attaccato su per i piedi a un lampione di piazza Cavour, con tanto di girotondo arancione attorno alla Casa del fascio. Qui invece gli ottimati, i soloni, i filosofi del Pd possono permettersi di irridere il presidente dell’Anac e di inventarsi varianti impossibili alla faccia della legge e del buonsenso. Tanto loro hanno la verità in tasca, non è così?

Ora, come Lucini, la sua giunta e il suo partito, che in queste ore sta procedendo con uno scannamento fratricida degno della miglior tradizione piddina, possano anche solo immaginare di reggere un anno in queste condizioni è una roba da matti. Il Comune non è più credibile. E non è nemmeno più un interlocutore sulla questione lungolago. Sarebbe opportuno che tutti quanti facessero i conti con la realtà e ne tirassero le conseguenze.

Ma non è proprio il caso che dall’altra parte si montino troppo la testa per l’implosione della maggioranza. Innanzitutto perché pure Maroni, appena ha avuto la bella pensata di rifilare la patata bollente dei lavori all’Anac – “Deve decidere lei” – è stato strattonato in un’intervista durissima e quasi irridente - “Io non c’entro, Maroni si informi” – concessa da Cantone al nostro giornale. Ma, soprattutto, perché la memoria delle gesta circensi della giunta Bruni è ancora troppo viva in città e il solo pensiero che possa tornare a galla qualche esimio rappresentante di quel consesso di cervelloni, di scienziati, di intelligentoni che ha ideato e gestito l’operazione paratie e quella ancora più grandguignolesca della Ticosa è una cosa da brividi. Soprattutto ripensando all’arroganza, la sicumera e l’impresentabilità addirittura lombrosiana di alcuni personaggi, che si è impressa nell’immaginario collettivo – pare che in certe notti d’inverno le mamme lo ricordino ai propri figli: “Guarda che se non vai subito a letto, arriva la giunta Bruni e ti mette dentro a un sacco…” - e che consiglia una permanenza almeno ventennale dentro la buca nella quale si sono sotterrati quattro anni fa per sfuggire all’ira funesta dei comaschi e forse per un ritardatario senso minimo di decenza.

E quindi, ora, mentre su Como calano le prime ombre sella sera, ci sarebbe una prateria per le forze nuove, le forze emergenti, quelle non colluse con il baracconesco sistema di potere della destra e quello insipiente della sinistra. Il problema è che qui il fenomeno cinquestelle non ha mai attecchito e questo, senza alcuna ironia, è un peccato. Perché ci vorrebbe qualcosa di meglio di qualche pittoresco leader (?) paragrillino che, dopo la trionfale campagna contro la Ztl e contro il monumento di Libeskind di qualche tempo fa – in giro c’è gente che si tiene ancora la pancia dalle risate – sembra proprio non farcela a elevare il tono del dibattito. E proprio non ce la fa a capire che, se vuole governare Como, non è sufficiente andare al bar, leggere “La Provincia” a sbafo e poi iniziare a trombonare che non se ne può più e adesso basta e la gente è stufa e qui il più pulito c’ha la rogna e il primo che si alza comanda e c’è un complotto dei poteri forti e dei giornalisti servi e qua una volta era tutta campagna e quando c’era lui, caro lei...

Sarà il caso che i comaschi seri si diano una svegliata, si ricordino chi hanno votato in passato – perché se le cose sono andate in questo modo è pure colpa loro - e trovino qualcosa di meglio del solito professorino spocchioso di sinistra, del consueto traffichino di destra o dell’arruffato masaniello civico di turno. Ci vorrebbe un colpo d’ala, una botta di fantasia, una mossa del cavallo. Solo che da queste parti, purtroppo, abbondano più i somari dei purosangue…

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