Il bello della lingua italiana è che consente di perdere la verginità diventando casta. Non ci credete? Seguiteci in un viaggio che parte da lontano: quello della nave Diciotti, per cui rischia un processo il “capitano” (non di quella imbarcazione ma della corazzata Lega) Matteo Salvini. Molti si sono chiesti cosa ci sia alla base della sua clamorosa giravolta: prima ha esposto il petto alle alabarde delle toghe (“lasciate che il processo venga a me”), per poi innestare di gran carriera il passo della ritirata, con un’accorata lettera al Corriere della Sera.
Enrico Mentana, perfido, ha chiosato l’altra sera un servizio concluso con il ministro che garantiva di avere una parola sola, con un “già” dal valore di dieci editoriali. Pare che a far cambiare idea a Salvini sia stata Giulia Buongiorno, ministro palermitano di quella che un tempo fu la Lega Nord, una che nelle aule di giustizia si muove come il ragno sulla tela e ingurgita tomi e pandette a colazione. Non a caso ha difeso con successo Giulio Andreotti nei due processoni che gli erano finiti addosso per mafia e omicidio del giornalista Pecorelli.
“Attento Matteo - avrebbe avvisato Giulia -. Questo processo è tutt’altro che fuffa buona per far legna di propaganda elettorale. C’è arrosto sotto il fumo e rischi di scottarti. Perché non bisogna mai, in questo paese, sfidare i giudici”. Si dice, lo sostiene il sito Dagospia, sempre ben informato, che sia stata la stessa avvocatessa a vergare la missiva spedita in via Solferino.
Comunque si andata e qualunque sia il mugnaio che ha confezionato il sacco, il dietrofront è rotolato come un macigno su Cinque Stelle, alleati disalleati di governo della Lega salviniana.
E qui entra a piedi uniti la seconda interpretazione della retromarcia per cui sarebbe stata un’astuta mossa di Matteo per inguaiare i tignosi amici-concorrenti nella campagna extralarge per le elezioni europee.
Non sembrava vero all’armata di Brancaleone Di Maio e del “Che” de noantri Dibba, il “mirate” al petto di Salvini che avrebbe loro consentito di salvare la verginità (e qui veniamo al pronti via) e pure le adorate poltrone di governo. Anzi, avrebbero addirittura fatto un piacere all’alleato spedendolo dal giudice e chissà se in cambio non avrebbero strappato qualche concessione su uno dei tanti temi contesi.
Così invece, volente e nolente, Matteo ha messo i compari in mezzo al guado. Dopo aver tuonato per anni nelle piazze vere e virtuali a colpi di vaffa contro l’immunità della casta come faranno ora a spiegare un voltafaccia indispensabile per non dover tornare ai mestieri di prima (quali poi?). Perché per la Lega e più facile. Il suo consenso deriva dalla politica sull’immigrazione e sull’abolizione della Fornero (per la flat tax sparita o quasi dai radar gli elettori si faranno una ragione). Ma chi ha privilegiato i Cinque Stelle, che peraltro hanno arruolato Pier Camillo Davigo, la toga più giacobina di Mani Pulite lo ha fatto anche in spregio alla casta, identificata anche con il Pd renziano e Forza Italia. E adesso come ne verrano fuori? La domanda è retorica. Perché per rinunciare alla poltrona serve molto coraggio. E molti novizi del Parlamento o del governo non ci mettono molto a indossare il saio di don Abbondio. Per amor della poltrona si può anche sacrificare una pur orgogliosa verginità. E diventare casta. Che lingua straordinaria l’italiano.
@angelini_f
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