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Giovedì 22 Gennaio 2009
"Madri e lavoratrici realizzate?
L'obiettivo è ancora lontano"
Maria Benvenuti, co-autrice del libro «Il doppio sì»: «Questo è il momento buono per superare gli ostacoli: la crisi ci spinga a tornare a ciò che è essenziale»
Altro che «lavorate di più e fate più figli», come alcuni leader poltici pretenderebbero dalle donne. Nel 2009 la vita della madre lavoratrice può ancora divetnar impossibile. Lo dimostra, con dati e testimonianze, Il doppio sì. Lavoro e maternità, esperienze e innovazioni, un volume curato dal Gruppo lavoro della Libreria delle donne di Milano, che ha il merito di non limitarsi a porre un problema, ma di cercare e proporre delle soluzioni innovative. Lo ha coordinato Maria Benvenuti, esperta di diritto del lavoro e mamma di due gemelle.
Il "la" all'indagine confluita nel libro, è partito dalla lettera di una madre cui a un certo punto è stato negato il part-time. Sono ancora molte le donne costrette a scegliere tra lavoro e maternità?
Bisogna innanzitutto intendersi su che cosa significa "scegliere tra lavoro e maternità".
Se si intende, come alle volte si legge anche sulla stampa, che le donne con figli "abbandonano" definitivamente il lavoro, allora la risposta alla domanda è negativa. I dati infatti indicano, in Italia, come negli altri paesi europei, che sono sempre di più le donne che continuano a lavorare anche quando hanno i figli (ad esempio: rispetto alle donne con due figli, tra il 2000 e il 2006 risulta esserci stato un aumento percentuale pari all'8,6% del loro tasso di occupazione: v. l'articolo di Lorenza Zanuso sul numero di Via Dogana dello scorso dicembre).
A questo proposito, non bisogna dimenticare che alcune indagini campionarie dell'ISTAT misurano il dato dell'abbandono a soli 18 mesi dal parto e invece bisognerebbe considerare l'intero "ciclo di vita".
Altra cosa è invece dire che molte donne sono costrette a "scegliere" tra maternità e lavoro nel senso che non riescono a rimanere fedeli al loro "Doppio sì" e cioè al desiderio di realizzarsi come lavoratrici non delegando totalmente la funzione di madre.
L'obiettivo del "Doppio" sì è infatti difficile da realizzare, specie in Italia, e gli ostacoli che noi abbiamo trovato riguardano innanzitutto l'organizzazione del lavoro: molte aziende sono strutturate su regole ancora di stampo fordista - come ad esempio quella della presenza a tempo pieno e ... oltre - e stentano a mettere in campo soluzioni organizzative innovative.
Ma queste innovazioni potranno avvenire solo se ci sarà una presa di coscienza e quindi una spinta a partire dalle lavoratrici e dai lavoratori.
Il part-time a volte coincide con una ghettizzazione sul posto di lavoro, ovvero con l'impossibilità di realizzarsi nella professione, o sbaglio?
Stando alle testimonianze raccolte per il nostro libro, sì. Ci tengo a dire a premettere che la cattiva immagine del part time è dettata anche dalla vecchia idea secondo cui per part time si intende mezza giornata di lavoro e preferibilmente al mattino. Invece fa part time anche la lavoratrice che magari riduce di una sola ora il suo orario e quindi lavora 7 ore al giorno! E spero che il libro contribuisca a fare chiarezza su questo punto.
Tornando alla domanda, noi abbiamo "trovato" tre tipologie di part time: un part time che emargina, dove in effetti si ha una vera e propria "ghettizzazione della lavoratrice" e quindi dove il doppio sì diventa in realtà un sì alla maternità ma un no al lavoro; un part time conciliativo-tradizionale dove il no al lavoro diventa mezzo sì, nel senso che non si ha emarginazione, ma neanche sviluppo professionale e un part time innovativo dove finalmente si ha il doppio sì !
Purtroppo, stando ai nostri racconti, quest'ultima tipologia sembra essere ancora piuttosto rara da noi: nel libro raccontiamo le cinque esperienze che abbiamo trovato.
Nel "Doppio sì" appare ancora piuttosto assente in casa la figura maschile, nonostante i congedi parentali. Colpa degli uomini oppure di stipendi e norme, congedi parentali compresi, che rendono difficile la sopravvivenza economica della famiglia, se un papà decide di stare a casa sei mesi con il proprio figlio piuttosto che di prendere a sua volta il part-time?
E' noto che i congedi parentali, nati con la legge 53 del 2000, sono pochissimo usufruiti dai papà per vari motivi, tra cui evidentemente ragioni di tipo economico e culturale ed è altrettanto noto il dato secondo cui le donne e gli uomini nel nostro paese sono rispettivamente in cima e in fondo alla classifica europea delle ore giornaliere dedicate al c.d. lavoro familiare.
Ma, rispetto al libro, la figura maschile è assente perché il progetto nasce proprio dalla volontà di interrogare la sofferenza e il desiderio delle donne del doppio sì.
Anche se il tema non è stato indagato dal libro, in qualche misura emerge che anche i "nuovi padri" desiderano stare un po' di più con i figli. Quello che forse manca, come scritto da Silvia Motta nel libro, è la piena consapevolezza da parte dei padri della "posta in gioco". E infatti nel libro invitiamo i padri a fare emergere pubblicamente il loro desiderio di esserci con i figli. Perché anche il desiderio dei padri può contribuire a portare dei cambiamenti positivi nel mondo del lavoro e però riteniamo che tale desiderio, in quanto segnato dalla differenza sessuale, non possa essere "assimilato a forza" a quello delle donne (e viceversa).
Ci sono esperienze maturate in altri paesi, in termini di organizzazione del lavoro, di sostegno alla famiglia e di suddivisione dei compiti tra uomo e donna, che varrebbe la pena di imitare?
Sicuramente in questo ambito alcuni paesi europei come Francia, Svezia e Olanda sono più avanti di noi.
Non c'è spazio qui di entrare nel dettaglio, e quindi mi limito a citare una tabella del libro che a mio parere è molto significativa a questo riguardo.
Si tratta di una tabella che riepiloga i dati delle lavoratrici part time nei principali paesi europei, suddivisi in base alla categoria professionale di appartenenza: dati che mostrano come in altri paesi anche mansioni qualificate possono essere svolte con un orario di lavoro ridotto. Un solo esempio: se in Olanda il 74% delle donne che lavorano nelle c.d. professioni tecniche (ad esempio le informatiche) svolge questa attività con un orario di lavoro part time, in Italia la percentuale corrispondente è pari al 21%.
Una volta si diceva che "il personale è politico". Quanto è stata importante la sua esperienza personale per dare il via a questo progetto ? E quali sono le maggiori difficoltà con cui ha dovuto, o deve, fare i conti da madre lavoratrice?
Sicuramente la mia esperienza in azienda mi ha fatto scoprire, ancora prima di diventare madre, il fatto che è insufficiente rivendicare una mera parità con gli uomini nel lavoro perché molte regole del mondo del lavoro - che vengono spacciate come "neutre" - in realtà sono ancora costruite e basate su esigenze e stili di stampo maschile tradizionale.
La maternità, per giunta doppia perché ho avuto due gemelle, ha sicuramente rafforzato questa mia convinzione e la voglia di fare qualcosa insieme a tutte le donne (e gli uomini) che tentano di costruire un mondo dove le esigenze e il valore del cosiddetto lavoro di cura (o di "riproduzione della vita") siano più tenuti in conto.
Questo presente mi sembra anche un momento propizio, visto che la crisi finanziaria in atto spinge (così io mi auguro) a tornare a ciò che è "essenziale" per la vita di ciascuno.
Dai dati e dalle esperienze che proponete, emerge un quadro di inadeguatezza ad affrontare le vere esigenze delle donne, e quindi delle famiglie e della società, tanto da parte delle imprese quanto del sindacato, per non parlare dei politici. E' tempo di un nuovo femminismo, quello delle "donne del doppio sì"?
Sì, sicuramente, nel senso che ci siano sempre più donne, che si interroghino e si confrontino innanzitutto sulle questioni del lavoro, a partire dalla propria esperienza.
A proposito di vecchio e nuovo femminismo: si può forse azzardare che come allora la leva del cambiamento è stato trovarsi a parlare tra donne di "sessualità", adesso sia quella di confrontarsi sul "lavoro", aprendo lo scambio agli uomini interessati.
Sono tante le questioni del lavoro su cui occorrerebbe confrontarsi e su cui le donne e la leva del loro desiderio di doppio sì potrebbero portare a dei cambiamenti significativi: non solo quella dei tempi della produzione e della riproduzione, ma anche, ad esempio, quella dei criteri di valutazione della prestazione e del concetto stesso di "carriera" che spesso viene intesa in modo molto diverso dalle donne rispetto agli uomini.
Nel libro noi raccontiamo due esperienze concrete in cui le donne sono riuscite a fare gruppo positivamente, a creare delle reti in azienda e a produrre dei cambiamenti, con modalità innovative.
Il mio augurio è che le donne (e gli uomini) del doppio sì, nonostante siano quelli che hanno meno tempo di fare "politica", trovino in questo libro la spinta per fare sì che la società e l'economia tengano più in conto la dimensione della cura, che ha davvero tante implicazioni. Non solo quella, ovvia, che allevare futuri adulti sereni è un valore per l'intera società, ma anche, ad esempio, il fatto che la gratuità del lavoro di cura apre all'interno del sistema capitalistico, dove tutto è misurato col denaro, una contraddizione che merita ancora di essere interrogata a fondo (vedi anche "La vita alla radice dell'economia", Mag Verona, 2008).
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