Dove sono i tagli ai costi della politica? Miseri e rinviati al futuro. E il riequilibrio nella redistribuzione del reddito? Pure rinviato. Le liberalizzazioni? Non ce n'è traccia, come pure del tagli alle pensioni d'oro. Ma la seconda impressione che si ricava è ancora più desolante della prima. La filosofia di fondo di questa manovra è quella del rigore senza crescita. Anzi, rigore come ci chiede l'Europa ma a danno della crescita. Eppure la ricetta per coniugare il rigore dei conti con lo sviluppo economico è nota in tutti i Paesi del mondo, a parte la Germania che non ne ha bisogno. Basta trasferire quote dai redditi più elevati in favore di quelli più bassi, che sono i redditi ad elevata propensione al consumo e bassa propensione al risparmio, l'opposto dei redditi alti. E in questo modo rilanciare la domanda interna che ravviva la crescita economica. Il tutto accompagnato da una dose massiccia di liberalizzazioni che garantiscono ulteriore crescita con bassa inflazione.
Ma di tutto ciò non c'è traccia nella manovra del governo, anzi le misure proposte comprimono ulteriormente la domanda interna e consolidano privilegi e abusi. La sola ragione di quest'impostazione è che quella politica di sviluppo verrebbe pagata da Berlusconi e Bossi in termini di consenso elettorale. Si dirà che per dare un giudizio vero sull'efficacia della manovra ai fini dello sviluppo occorre attendere la proposta di riforma fiscale in fase di elaborazione, strettamente collegata al resto della manovra. Certo è così, ma le anticipazioni di Tremonti sul fisco parlano di aliquote fiscali del 20-30 e 40%, il che significa che, anche se ancora non si conoscono gli scaglioni di reddito su cui verranno applicate, sarà soppressa l'aliquota più alta, quella del 43% sui redditi più alti. E sarà un altro pugno nello stomaco all'esigenza di ridurre le disuguaglianza per favorire lo sviluppo. Se il buongiorno si vede dal mattino…
Roberto Cattaneo
Uil Como
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