Masigott è anche un dolce.
Ecco la ricetta riscoperta
Erba, così il pasticcere Francesco Sartori raccontava come si faceva il dolce tipico della tradizione erbese
«Ho ciappà i pussé mej di condiment I ’ho messedà cont i savor de la Brianza G’ho taccà là un grizzen de sentiment, Cont olî de gombet in abondanza, Adess disem, o gent, sa va fà nagott, L’é minga on portent ’sto Masigott?».
Questa la poesia che il compianto Francesco Sartori, il maestro pasticcere cultore della ricetta, dedicò al dolce simbolo della sagra paesana.
Il dolce del Masigott ha ricevuto il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale dalla Regione quando fu riproposto nella sua ricetta originaria. Secondo questa regola il dolce deve avere un aspetto compatto di color marrone scuro, una pasta non lievitata con tenui sfumature arancio.
Deve rivelare la sua morbidezza al primo assaggio, sprigionando l’aroma del liquore d’arancio, bacca di vaniglia, uvetta, pinoli, scorza candita, tuorlo d’uovo, burro, farina 00 e di grano saraceno, zucchero di canna, fecola e ammonio di bicarbonato.
Come ogni tradizione che si rispetti anche quella del Masigott ha la sua parte leggendaria.
Il suo nome farebbe riferimento a quei dolci di fattura non eccellente che venivano riservate a persone di umile condizione, goffe e malvestite, i “masigott” appunto.
Altri lo fanno risalire alla “polentona di sant’Eufemia”, piatto del ‘700 a base di farina di frumento in cui si univano in un calderone tutti gli ingredienti rimasti in dispensa.
Il polentone, con l’aggiunta di un po’ di zucchero sarebbe poi diventato il nostro Masigott.
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