Isola Comacina e pecorino. Villa Raimondi e giochi gonfiabili. La basilica di Galliano e la burrata di Andria in tutta la sua lattea freschezza.
C’è evidentemente qualcosa di sfocato nel turismo comasco se i suoi riferimenti oscillano tra estremi tanto distanti: il Fai (Fondo ambiente italiano) che porta migliaia di persone nei siti storici e monumentali più raffinati della provincia, e i mercatini in città, pronti a catturare il passante domenicale con tentazioni gastriche. Le idee, si direbbe, sono poco chiare se per attirare l’attenzione di potenziali ospiti si passa, senza batter ciglio, dalla medievale villa Parravicino Sossonovsky alla ben stagionata, ma non altrettanto antica, fontina valdostana.
Lo ha sottolineato ieri, con uno sfogo su Facebook, Roberto Cassani, rappresentante della Confcommercio di Como nonché titolare dell’albergo Metropole Suisse. «Como città turistica: lo scorso weekend gazebo con formaggi e cineserie in piazza Volta, in questo gonfiabili e amenità varie in piazza Cavour. E poi hanno il coraggio di emanare regolamenti restrittivi sui dehor di bar e ristoranti. Che coerenza!» A parte il risentimento di categoria, la questione fa centro: che tipo di turismo vogliamo, a Como? Quello del “tre etti e mezzo, che faccio, lascio?” o quello un po’ più pensato, decoroso, volendo anche economicamente importante, che s’intreccia con la cultura?
Cassani se la prende, nella sua polemica, con il Comune di Como, responsabile da una parte delle autorizzazioni rilasciate ai caciottari, e la definizione è solo affettuosa, e dall’altra delle nuove regole sugli arredi di bar e ristoranti che, minuziose e restrittive, puntano evidentemente a un effetto complessivo di uniformità e decoro senza dubbio in contrasto con «cineserie e gonfiabili».
Raccolto questo sfogo, ci permettiamo di allargarlo, senza per questo assolvere il Comune dal “reato” di incoerenza, a tutto il “sistema” Como. Che la città voglia essere turistica ormai lo si è capito, e forse si è compreso anche che non si tratta di scelta quanto di necessità. Addirittura, i più attenti avranno notato che turistica la città è diventata quasi a sua insaputa: la notorietà mondiale del suo nome e del nome del suo lago attira comunque visitatori, che i comaschi siano pronti o no ad accoglierli, e molti privati, in risposta agli input del mercato, hanno già investito in questo senso.
Non resta che scegliere. La decisione spetta non solo al Comune, per ora smarrito tra formaggi e grandi progetti ma, come dicevamo, a tutto il “sistema” cittadino e anche a quello provinciale.
Turismo “alto” o turismo “basso”? Balbianello o robiolina? L’istinto – e anche il fresco successo dell’iniziativa del Fai – spingono verso il primo, anche se va detto che “alto” non significa per forza “elitario” e tantomeno “per ricchi”. Proporsi come realtà turistica equivale a “vendere” un’immagine, un sogno, quando non un’efficace illusione, di località evocativa. Nelle suggestioni del Lario e nella nobiltà delle strade comasche non sembra esserci spazio per salsicce e provoloni: non saranno queste a saziare il nostro bisogno di turismo. Tutto ciò potrebbe suonare snob: in realtà vorrebbe essere soltanto coerente.
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