Alcune scritte deliranti sui muri di Lugano (anche la Svizzera non è più quella di una volta, non tanto per i contenuti delle frasi ma per i muri imbrattati), un commento di fuoco del Corriere del Ticino, una bandiera rossocrociata ostentata su un palazzo vicino all’Università della Svizzera all’Italiana che ha ospitato ieri il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano.
Piccoli segnali di intolleranza, cartine di tornasole certo meno eclatanti dei manifesti della Lega dei Ticinesi contro i frontalieri, che contribuiscono comunque a segnalare come i rapporti non tanto tra i due Stati, quanto tra le due popolazioni, non siano dei migliori.
La crisi economica che spinge non solo gli imprenditori ma anche più lavoratori alla migrazione in Canton Ticino non aiuta, anzi. Ecco perché la visita del nostro presidente della Repubblica ha assunto un carattere che è andato molto oltre la routine protocollare. Lo ha confermato il botta e risposta, sempre in guanti bianchi ci mancherebbe, tra il presidente del governo ticinese, Bertoli e il nostro capo dello Stato, sui problemi legati ai lavoratori italiani. Napolitano, un Rosso Antico che in cinquant’anni di Partito Comunista e anche in otto al Quirinale di questi tempi, ne ha viste certo di peggio, non si è turbato più di tanto. I problemi si discutono e si risolvono in maniera concreta. ha replicato. E non con quel populismo che, almeno in parte, nel Canton Ticino è una sorta di fuoco amico rivolto contro i nostri frontalieri. Amico perché Italia e Svizzera restano paesi amici, legati da radici storiche, culturali e politiche comuni. È stato ribadito in tutte le salse nell’evento universitario a cui ha preso parte il capo dello Stato. Che da vero, solido, riformista continua a contrapporre le soluzioni politiche (della politica vera, eh, non di quel mercato del pesce, senza offesa per il mercato del pesce, che è diventata gran parte della nostra) a quelle di pancia. Lo ha fatto al di qua del confine, lo ha confermato anche al di là. Certo è un metodo che non porta a soluzioni immediate che peraltro quasi sempre sono non soluzioni. Perché i problemi sono complessi, i contesti vari e intrecciati. Ci vuole tempo, pazienza e soprattutto serenità. E su questa parola che il capo dello Stato ha costruito il suo intervento all’università ticinese, luogo scelto non a caso per la visita, un simbolo concreto di integrazione, tutela e valorizzazione della lingua e della cultura italiana in Svizzera. Serenità per guardare le cose nella loro reale dimensione che non è detto sia rosea. Per agire a mente fredda e non surriscaldata con toni da forno a microonde. Forse quella di Napolitano sarà una delle tante prediche inutili di cui si lamentava già il suo predecessore Luigi Einaudi. Ma certo il presidente della Repubblica italiana non ha scelto di fermarsi in Ticino solo per confermare una tradizione legata alle visite in Svizzera degli inquilini del Quirinale. Ha voluto, Napolitano, cercare di piantare anche lì il seme della serenità. Ammesso che i risultati del voto di domenica non lo facciano subito avvizzire.
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