Questo inverno senza neve costringe il bosco e il sottobosco a presentarsi con un’immagine davvero brutta e deprimente, frutto di quel deterioramento che purtroppo si accanisce sul territorio senza che l’uomo abbia intenzione di porvi rimedio.
La mia età veneranda mi costringe ad accontentarmi di passeggiate brevi alle quote basse dove, al contrario dei crinali alti dove a dominare è il pascolo, è, o dovrebbe essere, il bosco il padrone del territorio. Ahimè, però, devo osservare che la selva non è più la regina delle montagne. E il sottobosco è ancora peggio perché è diventato il regno delle essenze grame e inadatte, dei rovi, delle piante che un tempo erano tenute scrupolosamente lontane , mentre ora si mangiano l’humus, i muschi e l’erba dentro la quale spuntavano i funghi. Dovunque vi è un abbandono di rami e alberi interi caduti per il vento o la neve degli inverni scorsi, di ramaglie destinate a marcire. Si percepiscono poi ampi tratti in cui affiora la terra, quasi come se si annunciasse la desertificazione: una parola assai pesante e inquietante ma non del tutto fuori luogo. Il sottobosco delle nostre montagne dà quindi l’impressione di non riuscire più a trattenere l’acqua dei declivi e c’è da augurarsi che non arrivino acquazzoni troppo dirompenti: le ormai tristemente famose “bombe d’acqua”.
Perché avviene tutto questo? La risposta è facile e più che ovvia: non ci sono più quei valorosi personaggi che erano i contadini di montagna i quali, con la loro cultura, la loro destrezza, disciplinavano i pascoli alti e conservavano il sottobosco, regolavano il terreno, provvedevano a pulire gli avvallamenti e i corsi d’acqua. Inoltre erano solerti e soprattutto competenti nel curare l’economia della foresta provvedendo scrupolosamente alle piantumazioni giuste in sostituzione delle piante tagliate. Ormai da lungo tempo si parla della necessità di favorire la ripresa dell’agricoltura in montagna, ma solo qualche piccolo risultato è stato ottenuto. Ecco perché forse è importante quella proposta, avanzata da alcuni poche settimane fa, di creare un consorzio tra comuni per provvedere al ripristino dei boschi che sono lasciati ormai a se stessi. Ma anche nei boschi in cui sono avvenute, o stanno avvenendo, operazioni, anche massicce di disboscamento, la situazione del sottobosco non è buona, anzi in alcuni casi è ancora peggio di quella del bosco abbandonato a se stesso. In alcune pinete, anche di grande dimensione e vecchie di oltre un secolo si è dovuto provvedere al taglio perché l’abete rosso è minato inesorabilmente da un micidiale parassita che in poco tempo ne decreta la fine. Quella che era la stupenda pineta della Zoccolo sopra a Erba dove quando ero un bambino andavo a cercare i funghi con mio padre, ora vi è una landa desolata, con sole essenze infestanti, con affioramenti preoccupanti di terra e di roccia. A parte la esasperante lentezza con cui dura l’operazione del taglio, le piantumazioni sostitutive sembra siano andate distrutte: uno spettacolo davvero desolante, in un luogo che era tra i più belli del Triangolo Lariano. Qualche tentativo di ripristino del sottobosco si vede nelle aree dove gli alberi vengono tagliati per scopi industriali (produzione del cosiddetto “cippato”) ma anche qui non emerge certamente quell’impegno e quella passione che al sottobosco dedicavano i bravi contadini di montagna. Quindi anche in queste aree disboscata lo spettacolo è pressappoco di grande desolazione. Forse è solo una mia impressione, ma sulla solidità del suolo non ci metterei proprio la mano sul fuoco. Penso che se il bosco viene sfruttato economicamente sia più che oppurtuno obbligare a destinare somme per riportare il sottobosco nelle condizioni in cui era prima dell’arrivo delle potenti motoseghe.
Morale della favola: il sospetto è che i boschi sono tagliati (o sfoltiti) non per essere disciplinati secondo natura ma esclusivamente per fini commerciali, per un reddito che sia il più alto possibile.
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