Se c’è una caratteristica della politica italiana, questa è l’attitudine, ogni tanto, ad incagliarsi a discutere – in realtà bisognerebbe dire: a darsele di santa ragione – su argomenti che almeno teoricamente dovrebbero essere abbastanza ai margini dei suoi interessi principali. Che oggi riguarderebbe questioni come la crisi economica che non se ne va, la disoccupazione che continua impertinentemente a crescere, le aziende che chiudono e gli immigrati che muoiono in mezzo al nostro mare.
No, c’è una parte neanche piccola della politica che ha deciso che in questo momento bisogna parlare degli stipendi dei conduttori televisivi. Argomento, a ben vedere, di grande popolarità: mentre la gente stringe ancora la cinghia all’ultimo buco, prendersela con un divo milionario è cosa che può portare qualche vantaggio elettorale. Renato Brunetta, il focoso capogruppo del PdL alla Camera, ha deciso che questo fa parte della sua missione politica, e da un po’ di tempo tampina i più celebri personaggi televisivi indagando sui loro stipendi, e tanto più costoro sono “a sinistra”, tanto più Brunetta gli sta sul collo.
L’ultimo ad essere additato al pubblico ludibrio è Fabio Fazio, ma non solo come vedremo tra poco. Giunto a concedere un’intervista alla trasmissione “Che tempo che fa”, Brunetta ha sferrato un uppercut al morbido intervistatore ligure chiedendogli conto e ragione del suo emolumento, pari pare a cinque milioni e rotti (lordi) euro in tre anni.Fabiolo, come lo chiamano i detrattori, non ha saputo resistere all’offensiva: «Faccio guadagnare la mia azienda, questo programma costa molto meno di quanto fa guadagnare alla Rai!» ha protestato; niente da fare, Brunetta continuava a mordergli il polpaccio come se niente fosse. Nel silenzio delle forze politiche di centrosinistra, che di per sé sarebbero quelle più vicine al conduttore, anche Grillo si è unito alla campagna moralizzatrice brunettiana.
A noi questo episodio ha fatto tornare in mente una certa faccenda politico-televisiva che agli inizi degli anni ’80 divise la Dc di Ciriaco de Mita dal Psi di Bettino Craxi a causa – guardate che non stiamo scherzando – del cachet di Raffaella Carrà, la celebre soubrette che Biagio Agnes, il direttore della Rai deciso di fare sul serio la concorrenza a Mediaset, aveva strappato al Biscione berlusconiano alla modica cifra di un miliardo di lire. Craxi, di cui varrà la pena di ricordare l’affettuosa amicizia con Silvio Berlusconi, minacciò addirittura la crisi di governo se la tv di Stato avesse confermato il contrattone per la ballerina. Ma De Mita e Agnes intignarono, la Carrà fu scritturata, Craxi dovette fare buon viso a cattivo gioco e Berlusconi fu costretto a subire la concorrenza della Rai anche a colpi di tacco raffaellesco.
A ben vedere le cose di oggi non sono molto diverse: sulle televisioni si gioca una grossa partita di potere cui non è estraneo nessun partito, né quelli della sinistra che hanno i loro beniamini tv, né quelli che difendono il conflitto d’interesse, e nemmeno quelli che pretendono di essere i moralizzatori anti-sistema e in realtà mirano a conquistarlo, il sistema. Ognuno ha un interesse da difendere, ognuno il proprio tornaconto. Altro che morale e difesa del cittadino.
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