È il momento in cui ritrovarsi: expottimisti ed exposcettici ieri impegnati nell’area di Expo, mandavano lo stesso messaggio e forse era la prima volta.
La medesima sensazione veniva comunicata in maniera sorprendente, superando ogni divisione del passato: si era arrivati al momento tanto atteso - a lungo sballottato dalle critiche tanto da essere diventato quasi irreale - e ci si sentiva storditi al toccarlo improvvisamente con mano, in tutta la sua immensità.
Già, immensità. Tutti coloro che ieri erano presenti a Rho, hanno usato aggettivi molto simili nel descrivere l’esperienza: grandissimo, stupendo, incredibile. Si è lavorato tanto intensamente: giù la testa e poco tempo per la divagazione, ancora minore spazio per dedicarsi alla contemplazione attorno. Ciascuno concentrato sul suo padiglione, sul suo incarico, sul suo tassello da posizionare nella maniera più impeccabile possibile.
Basta. Ora che si è giunti al capolinea, ci si può fermare a guardare il mosaico nella sua completezza. A capire proprio l’immensità dello spettacolo. Che si coniuga con quella delle occasioni, anche più rilevante.
Non è vanagloria, anche perché il bello viene adesso. Anzi, pur essendo una sensazione ha un suo pragmatismo e i comaschi lo sanno bene, perché hanno voluto giocare da protagonisti fin dai primi passi.
Ognuno ha maturato, sulla base della propria esperienza, una visione particolare di Expo in questi anni, e poi in questi mesi che hanno visto un’accelerazione dell’impegno, ma non certo una frenata delle difficoltà e delle polemiche.
Ieri per un attimo il tempo sembra essersi arreso e molti si sono trovati a condividere quell’impressione: si sono trovati dalla stessa parte, senza più parole, bensì con emozione e orgoglio. Come una pausa, una notte prima degli esami in cui non sentirsi più piccini, spaventati, bensì più vicini al poter diventare grandi e responsabili.
L’anatroccolo non è ancora diventato il cigno perfetto: si dovranno eseguire gli ultimi interventi e intoppi nella giornata di oggi sono da mettere in conto.
In ogni caso, il calcio d’inizio ci sarà e adesso la partita si disputa sotto gli occhi di tutti. Si affronta per sei mesi, e poi più a lungo ancora. Perché sì, ci sono due tempi: quello dell’Esposizione universale, fino a ottobre, in cui si dovrà seminare. Quindi quello che verrà più tardi, non meno importante, in cui proseguire il lavoro e raccogliere ulteriori frutti.
Non ci sono tattiche sicure, per la competizione, se non una, quella che accompagna ogni sport: essere una squadra. Essere, appunto, dalla stessa parte.
E se ciascuno ha il diritto di contestare, in questo momento costruire sembra la sfida più ardua, ma anche quella che può condurre a un futuro o almeno renderlo un poco migliore.
Expo, che piaccia o no, adesso è pronto a dire la sua. Si può alzare la voce e cercare di soffocarlo; si può ignorare e passare vicino o tenersi alla larga, maledicendo magari il traffico e i disagi. Oppure si può restare ad ascoltarlo: non passivamente, ma per poter dire qualcosa a nostra volta.
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