Una promessa è una promessa. Il 14 maggio scorso abbiamo lanciato la campagna #rivogliamoilnostrolago prendendo l’impegno con le nostre decine di migliaia di lettori di portare tutte le cartoline firmate a Palazzo Chigi e di chiedere al governo un impegno ufficiale scritto per risolvere lo scandalo paratie.
Non si scherza con i lettori. Non si scherza con i cittadini. Non si scherza con i problemi che feriscono una terra. Il patto sottoscritto deve essere onorato. E così abbiamo fatto. La nostra iniziativa - nata grazie agli scatti artistici di Pierpaolo Perretta e alla sensibilità di una cronista di razza come Gisella Roncoroni, che ha lavorato in modo impeccabile per quaranta giorni assieme all’ottimo Michele Sada - ha riscosso un successo clamoroso. Prima i media regionali, poi quelli nazionali, poi quelli internazionali: non c’è stato giornale, televisione, radio, sito o social che non abbia ripreso, approfondito, commentato e rilanciato questa formidabile protesta civile e civica di un’intera città e di un intero territorio raccolto attorno al quotidiano che da centoventicinque anni lo racconta e lo rappresenta.
Un momento di grande partecipazione, di grande politica nel senso più nobile del termine e, se ci è permesso dirlo, di grande informazione, che riafferma il ruolo centrale e il radioso futuro dei giornali locali proprio nel mezzo della tempesta editoriale legata alla recessione e alla rivoluzione digitale. Basta avere l’intelligenza e, soprattutto, l’umiltà di capire cosa interessa veramente ai propri lettori e incanalare la comunicazione in quel solco già tracciato. Quello che interessa ai lettori. Non all’editore o al direttore o al collega o all’amichetto politico, giudiziario, economico o familista. Ai lettori. Solo e soltanto a loro. Ed è così che è andata.
La catena di eventi scatenatasi dopo il 14 maggio è stata impressionante. Non accadeva nulla da quattro anni, è successo tutto. L’esplosione della notizia, la raccolta di sessantamila cartoline – contate una a una, non temete -, l’assalto al gazebo in piazza Duomo per due sabati consecutivi con la gente che faceva la fila per firmare, le valanghe di personaggi celebri che hanno voluto diventare testimonial a Como e in Italia della nostra iniziativa, gli interventi durissimi di Anac su Lucini e Maroni, la raffica di arresti – una coincidenza, naturalmente, senza ironia -, lo smuoversi della palude nel palazzo, il viaggio a Roma, la consegna dei nostri quindici pacchi di firme, l’impegno del governo in attesa dell’incontro decisivo del 7 luglio. Un terremoto. Una scossa di energia, di ribellione al declino, alla rassegnazione. Una ventata di libertà.
Una grande pedagogia. Perché questo giornale – non il suo direttore, che è l’ultimo degli ultimi - ma questo giornale, con il suo marchio, la sua storia, la sua autorevolezza, ha avuto la forza di andare a inchiodare alle proprie imperdonabili responsabilità politiche due giunte regionali (Formigoni prima, Maroni poi) e due giunte comunali. Quella Bruni, che, come già ricordato in un editoriale di un paio di domeniche fa, solo per aver siglato le vergogne Ticosa e paratie dovrebbe sotterrarsi al gran completo in una buca per i prossimi vent’anni e non andare in giro ancora oggi, con qualche suo clownesco rappresentante, a spaventare i bambini fuori da scuola. E quella Lucini, che solo per la cocciutaggine, la presunzione e l’arroganza di voler avere sempre ragione – al punto di dare sostanzialmente del pirla pure a Cantone - dovrebbe sotterrarsi nella buca a fianco per i prossimi dieci anni ed evitarci lezioni di moralità, paremia idraulica e superiorità antropologica rispetto a quelli che c’erano prima.
Una totale opera di supplenza del giornale al vuoto della politica, pensate un po’. E fortuna che “La Provincia” non si candida alle prossime comunali, altrimenti vincerebbe al primo turno… Ma non solo. Erano i corpi intermedi, le associazioni di categoria – gli albergatori!, gli albergatori!! - che avrebbero dovuto incatenarsi alle inferriate del lungolago, mettere sotto assedio prima il Pirellone e poi Palazzo Chigi, perché anche a loro è delegata la difesa del bene comune, dell’integrità e lo sviluppo del territorio, dell’indotto economico portato da un turismo internazionale in continua ascesa nonostante le schifezze seminate dagli enti pubblici. Niente. Anche qui tutto finito sulle nostre spalle. E così, in perfetta solitudine e contando però sulla forza di tutti i cittadini – che non smetteremo mai di ringraziare - non solo di Como, perché sono state firmate valanghe di cartoline e scattate centinaia di foto in ogni angolo della provincia, abbiamo portato a casa il risultato. Com’è che diceva quello là? Chi sa fa, chi non sa insegna.
E che questa campagna memorabile, una piccola pagina di storia dentro il grande libro di storia de “La Provincia”, sia stata ideata da un editore di Bergamo e da un direttore di Lecco rappresenta un dato oggettivo sul quale i comaschi intelligenti dovrebbero operare una seria riflessione.
Ps: Ah sì. Ci sarebbe da dire qualcosa su qualche sopracciò che pascola fuori da questa redazione – ex assessori circensi, pittoreschi masanielli civici, doppiomoralisti forforosi, retroscenisti del bar della Pesa – e anche dentro – ma quelli, poveri, li conoscevamo già uno a uno – che in questi giorni hanno regalato alcuni momenti di grande ilarità: un po’ per il colorito verdognolo, un po’ per gli arzigogoli nel tentativo fantozziano di sminuire il successo delle cartoline. E che a tratti ricordano le squadrette dei tempi dell’oratorio: perdevano sempre dieci a zero però era colpa dell’arbitro, del campo gibboso, del pallone sgonfio, del mister cattivo, di mio cugino, del funerale di mia madre, del terremoto, dell’inondazione, delle cavallette e così cercavano di nascondere la verità. Che, però, è semplice, adamantina e amarissima. E cioè che noi siamo quelli bravi. Loro, invece, sono solo quelli scarsi.
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