Parla capitan Da Ros: «Non basta essere Cantù per vincere»

«Qualcosa abbiamo sbagliato, è evidente. In tutte le partite a Scafati. Mi spiace non essere riuscito a trasmettere nello spogliatoio la necessità del sacrificio. Non tutto è da buttare»

«Non basta chiamarsi Pallacanestro Cantù per vincere». Il succo, in fondo, è questo. Qualcosa è mancato - a tutti i livelli – per centrare la promozione in serie A. È l’analisi, amarissima, del capitano Matteo Da Ros. Ancora provato dalla delusione e dalla stanchezza, è il primo della squadra a tentare di dare spiegazioni. A partire da gara5: «Purtroppo non c’è nulla che non si possa non comprendere. Si sapeva bene che non sarebbe stata una partita facile, da non affrontare sottogamba. Ma il risultato è questo e rende tutti i meriti a Scafati, ma dà da pensare a come abbiamo affrontato non solo gara5, ma tutte le sfide al PalaMangano».

Rammarico

Cresce allora il rammarico per quella che è stata la stagione regolare: «Spiace non essere arrivati primi, ci avrebbe dato il vantaggio del fattore campo anche in finale: è stato un elemento determinante. Resta il fatto che gara5 non l’abbiamo giocata come avremmo dovuto e voluto. Ma anche commentare una stagione focalizzandoci solo su una partita, sebbene la più importante, non è del tutto corretto: io spero che le tante persone intelligenti che tifano e commentano la Pallacanestro Cantù possano andare oltre».

E allora, via all’analisi di una stagione a ritmi forsennati, in cui gli ostacoli – anche del tutto inattesi – non sono mancati: «Sicuramente è stato un percorso di crescita per alcuni giocatori, non solo tecnico ma anche personale, in una realtà importante che si sarebbe aspettata un risultato immediato. Non era una sfida semplice. Ci sono anche delle componenti che non verranno ovviamente ricordate e altre che, anche giustamente, sono rimaste all’interno dello spogliatoio ma che hanno pesato nella stagione. In questo momento provo sconforto e un senso di vuoto, ma non ho nulla di cui rimproverarmi. Una cosa mi dispiace: non essere riuscito, da capitano, a far passare l’idea di sacrificare qualcosa della propria libertà a favore di una causa più grande e collettiva, magari con un allenamento in più anche nei giorni vuoti».

Precedenti

Va anche detto che, statisticamente, solo alla Virtus Bologna negli ultimi anni è successo di retrocedere dalla A ed essere immediatamente promossa: «Lo so bene, perché ero in campo da avversario… ed era una Virtus molto più forte di noi. Voglio essere chiaro: non basta dire che siamo Cantù per tornare in A. È comprensibile che molti lo pensino, ma il passato è il passato. Occorre fare i conti con il presente, non basta vantarsi se poi non si dimostra a tutti che c’è della sostanza. Tante società hanno avuto un percorso di rifondazione come Cantù, tutte hanno avuto difficoltà a riemergere».

Resta, alla fine, la grande delusione: «Si sono accavallate tante situazioni, ma si è sempre fatto fronte comune per superarle. Tutti volevamo di più e non siamo contenti, io però posso dire di essere orgoglioso di essere stato il capitano di Cantù. Con la società faremo tutte le riflessioni del caso a tempo debito: ho ancora un contratto, vedremo insieme cosa fare per provare a migliorare». Potrebbe essere anche una delle persone da cui ripartire. Per non commettere gli stessi errori. E magari l’anno prossimo Da Ros riuscirà a spiegare meglio il significato di certe parole

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