Alla fine sono volati gli stracci. E che canovacci: spessi, pesanti, di un brutto color fango. Non poteva che andare così in una campagna elettorale, quella per il sindaco di Como, vissuta in gran parte con i nervi sotto pelle, con strategie, scelte ed esclusioni eccellenti dettati da umori e sondaggi e da un gran paura instillata nel primo turno sia nel centrodestra sia nel centrosinistra. Il timore di non contare più tra i cittadini. Se si mettono assieme coloro che hanno lasciato il certificato elettorale nel cassetto e quelli che hanno scelto di votare fuori dai due schieramenti (non dimentichiamo che la prima forza in città è quella di Alessandro Rapinese e ci sarà un perché) si supera di parecchio il 60%. Chiunque oggi conquisti il municipio e la fascia tricolore, da domani deve tirarsi su le maniche e cercare di convincere gli assenti che hanno avuto torto. Altrimenti rischierà di ripetere il destino del suo predecessore, rimasto comunque estraneo a una parte dei cittadini che non lo hanno votato e, in gran parte, non lo hanno considerato neppure dopo.
Questa fregola di entrambi i contendenti di apparire come il nuovo, come una svolta, questo affannarsi a tentare di recidere cordoni ombelicali, lascia intendere che si è compresa la diagnosi di quanto accaduto due domeniche fa. Sulla cura vedremo. Da domani. La considerazione vale per Como, più che per Cantù ed Erba, dove i colpi bassi sono stati più rarefatti. Chiaro che l’esito dovrà essere il medesimo. Da domani bisogna farla finita e cominciare a pensare alla città, anzi alle città. E sarebbe bene staccare la spina ai ventilatori che hanno sparso il fango. Maggioranza e minoranza hanno ruoli distinti, lo sanno anche i sassi. E l’opposizione di adesso deve lavorare per scalzare in futuro il governo della città. Ma i modi contano, così come è importante che chi ha vinto non si foderi le orecchie di prosciutto di fronte alle istanze dei perdenti che magari qualche volta ci azzeccano pure. Forse sarà più facile (o più difficile) a Erba, dove i due contendenti hanno la medesima cultura politica. A Como e Cantù la situazione sarà diversa. Ma lo stato dell’arte delle tre città, in particolare del capoluogo richiede una sessione amministrativa che sarebbe eccessivo auspicare come “costituente” ma neppure può vivere in un perenne stato di contrapposizione frontale. Anche perché entrambi gli schieramenti che sono arrivati al ballottaggio, qualche crepa più o meno visibile la presentano. E si allargherà in caso di sconfitta. Se chi si è candidato per il bene della città vuole essere coerente con l’impegno, continui a operare, nel rispetto dei ruoli, per raggiungere il risultato. Le ricette non sono dogmi. Si possono cambiare. E nella politica, anche in quella che serve per una buona amministrazione, ogni tanto dovrebbe far capolino l’etica. Del resto, la maggioranza dei comaschi lo ha urlato nel silenzio dell’astensione: non se ne può più della solita contrapposizione sterile e inconcludente degli schieramenti che ha contribuito a portare la Como delle mille potenzialità inespresse nel limbo senza direzione in cui appare ora. La campagna elettorale è una cosa, il buon governo e la capacità amministrativa altro. Ricordatevelo da domani.
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