Cara provincia
Mercoledì 16 Settembre 2009
Prima dell’arabo impariamo almeno l’italiano
La nostra lingua è sempre più bistrattata e vilipesa
Se a Torino un certo numero di maestre degli asili comunali (3,3%) va a lezione di cinese e di romeno, qualcosa non quadra; mi sembra invece naturale che debba essere chi viene qua a volere lezioni di italiano, meglio ancora se da maestre ferratissime anche in codesta sola lingua. Siamo o non siamo la culla dell’Umanesimo? Abbiamo o non abbiamo prodotto Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Bembo, Ariosto, Tasso, il Vocabolario della Crusca, e l’Enciclopedia Italiana (la Treccani), a cui il mondo intero si è abbeverato e si abbevera ancora? Se i cinesi e i romeni vengono qua, siano benvenuti, ma, conclusi i convenevoli dell’accoglienza, muovano le culatte: per imparare, con le maestre ad insegnare. Gent.ma Ministra Gelmini, la prego, tra le pieghe della normativa, promuova anche un po’ di dignità!
Gianfranco Mortoni
«Come va il tuo uzbeko?», «Non c’è malaccio, fatico ancora un po’ coi verbi. E tu col kazako?», «Faccio già conversazione al bar». Senza andare troppo lontano con la fantasia, la babele delle lingue che ogni giorno attraversiamo ci autorizza a pensare che tra qualche anno dovremo abbandonare l’inglese per darci al cinese o all’arabo stretto, con buona pace della nostra vituperata lingua, già ammazzata nel corso degli anni dall’inquinamento di vocaboli anglosassoni. Senza arrivare a promuovere un premio come “Italiano zerbino della lingua inglese”, consegnato ogni anno dall’associazione Radicale esperanto per la democrazia linguistica a chi si dà particolarmente da fare per affossare l’idioma di Dante, occorre indubbiamente riflettere sul complesso di inferiorità che ci pervade nei confronti dei vocabolari stranieri.
Parliamo e scriviamo un italiano sempre più povero, girando e rigirando gli stessi vocaboli o usandoli a sproposito perché mal tradotti dall’inglese, gli stessi insegnanti possiedono un lessico scarso e comunque miscelato a parole anglosassoni. Le maestre degli asili, quindi, farebbero bene a seguire corsi accelerati di italiano prima di imparare il cinese o il romeno, per insegnarlo poi, come giustamente sostiene lei, a chi arriva in Italia per integrarsi. Senza scomodare Wittgenstein, persuaso che la lingua si curasse da sé senza migliorarsi né peggiorarsi, cerchiamo invece di assisterla quotidianamente proteggendola dagli «ok», «ho realizzato», «buon week» «see you later» «occhial house» con uno scatto d’orgoglio, almeno in memoria e per rispetto verso i padri nobili che lei ha citato.
Mario Chiodetti
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