Tra scongiuri sottaciuti e rassicurazioni esibite, trapelano con sempre maggior evidenza aspettative e timori che i partiti nutrono sul doppio voto del 20-21 settembre: referendum e regionali. Alla vigilia di ogni consultazione amministrativa è di rito che si rimarchi il suo carattere strettamente locale. Lo si fa in genere per un doppio ordine di considerazioni. Perché gli elettori coinvolti non si sentano strumentalizzati dai “giochi di palazzo” e perché la prudenza sconsiglia che una politicizzazione del futuro verdetto non finisca per ritorcersi contro chi l’ha pronosticata. Ne sa qualcosa Salvini. Si riprometteva in Emilia Romagna di dare una spallata al governo e invece la spallata se l’è presa lui.
Lo si ammetta o meno, un voto locale è sempre un voto e i partiti non possono non tenere conto dell’espressione dei sentimenti nel frattempo maturati nel paese. È tanto vero, questo, che già oggi i leader stanno adattando la loro tattica alla luce delle aspettative, in modo da non trovarsi spiazzati al momento dell’apertura delle urne.
Non è un segreto per nessuno che la consultazione referendaria è stata promossa, ed è oggi valorizzata, dai Cinquestelle. La considerano la prova d’appello alla bocciatura che si aspettano dal voto amministrativo.
Di Maio fa conto addirittura su un plebiscito di sì per riagguantare la poltrona di capo del movimento, lasciata temporaneamente in carico al reggente Vito Crimi. Per il resto - voto nelle sei regioni e nei numerosi comuni chiamati al rinnovo delle amministrazioni - i grillini hanno poco da sperare. I loro candidati governatori possono tutt’al più ottenere un risultato di bandiera. Prospettive ancor meno rosee si offrono ai loro candidati alla poltrona di sindaco. In periferia il Movimento si trova in condizioni così precarie che fatica addirittura a presentare delle liste. Risultato paradossale, questo, per una forza politica che si prefiggeva di partire dal basso per puntare al vertice.
Ha fiutato in tempo l’aria che tira l’accorto avvocato di Volturara Appula (leggesi Antonio Conte). Si è asserragliato a Palazzo Chigi, tenendosi ben distanziato dalla campagna elettorale per non intestarsi una sconfitta annunciata.
Il più grande punto interrogativo pesa comunque sul voto regionale. Salvo – come si diceva – in Emilia Romagna, ogni rinnovo di consiglio regionale si è risolto negli ultimi tempi in uno sfratto per i governatori uscenti di centrosinistra. Passi per le Marche, ma la perdita anche della Puglia e soprattutto della Toscana, storica roccaforte della sinistra, potrebbe riuscire fatale per Zingaretti.
Apparentemente meno gravida di rischi è la doppia tornata elettorale per il centrodestra. Diviso sul voto referendario, è riuscito a presentarsi unito in quello regionale. Non corre il pericolo di subire grandi danni, ma non può nemmeno illudersi di infliggere al governo quella spallata che invoca da sempre ma che non arriva mai, semplicemente perché non sa costruire un’alternativa. Questo non significa che per l’opposizione tutto resterà come prima. Sono in gioco i suoi equilibri interni. Un ulteriore avanzamento della Meloni metterebbe in serio imbarazzo Salvini la cui leadership è minacciata anche dall’interno della sua Lega. Un successo travolgente di Zaia travalicherebbe i confini del Veneto accreditandolo come temibile alternativa al Comandante leghista, sempre più in affanno.
Grande incertezza regna sotto il cielo della politica, come se non bastasse l’incertezza sul futuro che inquieta famiglie e imprese.
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