La riforma elettorale ha già mandato in crisi i rapporti di maggioranza, ad appena ventiquattrore dalla fiducia ottenuta dal governo.
A dare fuoco alle polveri il voto con il quale al Senato uno schieramento trasversale (Pd, Sel e M5S) ha approvato il ritorno alla Camera della discussione, nonostante il parere contrario del Nuovo centrodestra e di Scelta civica (appoggiati da Fi, Lega, Gal e neopopolari). Uno schiaffo di Renzi ad Alfano, dicono i berlusconiani che ne approfittano per sottolineare l’irrilevanza politica del grande ex. E un campanello d’allarme per gli alfaniani sulle intenzioni del neosegretario del Pd.
Il passaggio del testo di riforma alla Camera, infatti, dimostra che il sindaco rottamatore non intende farsi impantanare in un lungo negoziato al Senato. A Montecitorio, dove i democratici hanno la maggioranza assoluta, sarà più facile predisporre una proposta del Pd da sottoporre poi a tutti i gruppi.
Per gli alfaniani si tratta di un pericolo mortale: il loro obiettivo è infatti una legge che non li risospinga nelle braccia di Berlusconi ma crei uno spazio per il neopopolarismo. Ciò spiega perché il mite ministro Quagliariello abbia tuonato contro la manovra renziana, invocando un tavolo della maggioranza che trovi prima un accordo ristretto e poi lo sottoponga alle opposizioni (è la stessa linea dei montiani).Minacciando in caso contrario la crisi di governo.
Dal Pd si è replicato che il ministro non è nelle condizioni di avanzare diktat. Anche perché, è il sottinteso, la crisi gioverebbe più a Renzi che ad Alfano. Quagliariello si è detto disposto a discutere di doppio turno e del «sindaco d’Italia’’ ma la vera preoccupazione del Ncd è un’altra: che lo scontro possa condurre a piccoli «ritocchi» (vale a dire alla famosa legge di salvaguardia) per poi tornare subito al voto il che, dice Quagliariello, sarebbe un tragico errore. Il perché è ovvio: le urne affosserebbero la formula Letta e soprattutto toglierebbero al Nuovo centrodestra il tempo necessario per organizzarsi sul territorio, costringendo di fatto i transfughi a tornare sotto le ali di Forza Italia.
Queste tensioni nella maggioranza, mentre nelle piazze dilaga la protesta dei «forconi» stanno aprendo uno spazio di manovra imprevisto a Beppe Grillo e allo stesso Berlusconi. I 5 stelle si muovono con l’agilità dei guastatori, alleati con il Pd sulla legge elettorale e con Forza Italia sulla manovra economica. Il Cavaliere ha evitato di schierare il suo partito sulla linea oltranzista della protesta di piazza, ma ha dato disposizione di appoggiare le manovre antitasse. Per la maggioranza il rischio è una «deriva ribellistica’’ (come ha detto Alfano), una protesta sociale che si saldi con le piccole realtà dei territori, trasformandosi in un’onda lunga.
Intanto Grillo attacca Napolitano, accusato di non essere più un garante ma un aggressivo tutore dello status quo, e ribadisce che i 5 stelle chiederanno il suo impeachment.
Il Pd teme che la crisi economica porti alla nascita di un asse M5S-Fi e definisce Grillo un «piromane delle istituzioni» il vero fatto nuovo però è l’abilità con cui il Cavaliere è riuscito a riciclarsi restando una spina nel fianco non solo per il governo (il che era prevedibile), ma soprattutto per gli alfaniani.
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