I numeri e le sensazioni stringono un’alleanza per i due distretti strategici di Como. E soprattutto dal tessile emerge una piccola speranza in più. La crescita dell’export conduce a sbirciare dove prima nessuno osava nemmeno affacciarsi: i livelli prima che scoppiasse la crisi.
La scorsa estate, a dire il vero, qualcuno l’aveva detto. Ad esempio, l’industriale tessile Graziano Brenna, che prendeva e ampliava l’azienda, proprio sulla scia di questa valutazione. Il lavoro, tornato in misure paragonabili al periodo precedente alla recessione.
Non è un ritorno al passato, per tante ragioni. Ne
citiamo alcune, e non in ordine di importanza. Perché in questa fase, delicatissima, è arduo trovare un bandolo della matassa, uno che ci racconti più degli altri fili cosa stia accadendo e soprattutto perché.
La nuova natura del lavoro, ad esempio. Non è una ripresa in senso tradizionale, con un aumento costante di ordini. Tutto è schizofrenico. Due mesi buoni, a volte due settimane, e poi uno stop. Un mercato che sembra affamato di nostri prodotti, quindi si calma e appare come la salvezza un altro, che se non era stato accantonato, comunque era giudicato ormai saturo.
Un altro motivo è legato proprio a quest’ultima considerazione: si sta vendendo nel mondo intero, ci sta muovendo per un mercato immenso e sottoposto a sbalzi continui, nel bene e nel male. Gli stessi settori all’interno dei distretti, hanno andamenti diversi: un prodotto prende quota, l’altro si ferma.
E c’è una ragione più potente di tutte, forse. Non si può parlare di tornare al passato, perché sulla strada si sono perse troppe imprese, sono andati in fumo troppi posti di lavoro. Perché a questo traguardo - ammesso che si possa definirlo così, dato che non c’è nemmeno il tempo di sostare e bisogna già ripartire - si è arrivati pagando un prezzo elevatissimo.
Il tessile e l’arredo - il primo in particolare, con la percentuale di crescita nell’export più incoraggiante - stanno raccontando una storia in cui si leggono insieme orgoglio e dolore. Non si è mai troppo vecchi e quel passato che da tanti veniva giudicato quasi un peso, si è trasformato in una base solida da cui decollare.
Ma se si vuole continuare a crescere, questo dev’essere un ritorno al futuro. E a costo di essere noiosi, insistiamo: perché ciò avvenga, deve rimettersi in viaggio con le aziende la grande assente che è la politica.
In questi giorni si discute - ancora - della riforma del lavoro. Uno dei nodi eterni dei vari governi. Si invoca massima tempestività - ancora - e chissà se questa volta ciò avverrà davvero. Se ci si renderà conto che su questi e altri temi non si può più rimandare.
Che il termine priorità avrà pure un senso e non vale solo per faccende come il doppio cognome per i figli, su cui pur si è stati bacchettati dalla Corte europea.
Ma perché, in questo Paese, si devono sempre prendere decisioni quando qualcuno ci richiama all’ordine?
Allora, si rendano conto a Roma - e in ogni luogo dove si può esercitare un briciolo di potere - che gli imprenditori, i lavoratori e quelli che purtroppo non hanno più un posto, li stanno richiamando all’ordine.
Stanno convincendo il mondo di quanto l’Italia sappia fare tuttora nelle sue aziende, con la sua creatività. Se restano da soli, il passato è tramontato, ma anche il futuro non farà molta strada.
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