Robot giapponesi
ecco una guida

Sono giocattoli alti da una decina di centimetri a oltre mezzo metro, colorati, snodabili e riproducono i protagonisti di serie animate giapponesi. Non chiamateli però robottini. Infatti questi prodotti sono divenuti oggi oggetto di un attento collezionismo.

Sono giocattoli alti da una decina di centimetri a oltre mezzo metro, colorati, snodabili e riproducono i protagonisti di serie animate giapponesi. Sono le copie in miniatura di Goldrake, Mazinga, Jeeg e dei più recenti Evangelion e Transformer, ma non chiamateli robottini. Infatti questi prodotti legati all'immaginario e ai ricordi di almeno un paio di generazioni sono divenuti oggi oggetto di un attento collezionismo che tra nuovi arrivi e pezzi d'antiquariato si gioca a colpi di centinaia di euro. Per fare luce su questa galassia popolata da modellini di plastica e metallo pressofuso la Kappa edizioni ha ripubblicato «Anime d'Acciaio», nuova edizione di una guida al collezionismo ludico-robotico realizzata da Guglielmo Signora, disegnatore, illustratore e capostipite dei collezionisti italiani.

Il corposo volume è composto da un'approfondita analisi-saggio dell'evoluzione del fenomeno, foto dei modellini più rapresentativi e un glossario ricco di notizie e curiosità. Ad esempio compare una nota sulla mitica Atlantic di Treviglio che con i suoi soldatini in miniatura aveva invaso l'Italia e venne scalzata proprio dalla moda dei robot. Questa riedizione di «Anime d'Acciaio» è arricchita da un cd rom contenente foto a colori e una lista di riferimento di oltre 870 pagine in formato PDF di tutti i giocattoli realizzati da ditte giapponesi e occidentali dagli anni '60 a oggi su questo tema, indispensabile per il collezionista a caccia di pezzi. Tutto è stato presentato di recente a Luccacomics dove l'edizione deluxe della guida è andata a ruba. «Le premesse del libro, come già per la prima edizione, erano quelle di offrire una guida che non esisteva su questo genere di collezionismo - ha spiegato Signora -. Infatti i giapponesi prediligono pubblicazioni monografiche su specifici personaggi, anche perchè il rispetto dei diritti d'autore è molto sentito e quindi per radunare materiale diverso sarebbe necessario rivolgersi a decine di case di produzione complicando parecchio il lavoro. Anche negli Stati Uniti, dove ho cercato qualcosa che potesse somigliare a un catalogo ragionato, ho riscontrato lo stesso problema. Perciò avendo seguito questo fenomeno dall'inizio e avendo avuto la possibilità di andare in Giappone e negli Stati Uniti mi sono costruito pian piano quello che all'inizio doveva essere soltanto un semplice libro fotografico e poi è diventato un archivio in costante aggiornamento. Nel 1984 è uscita una pubblicazione della Granata press che parlava esclusivamente dei robot arrivati in Italia, poi con la Kappa è nato Anime d'Acciaio».

Il lavoro di Signora è lievitato con il tempo abbracciando non solo i modelli arrivati in Italia negli anni Settanta e Ottanta, ma l'intera produzione successiva con uno sguardo costantemente puntato alle case di produzione nipponiche e non solo, visto che il business si è rapidamente esteso. Dai semplici gadget in plastica ai modellini accessoriati, il campo è enorme e nel volume «Anime d'Acciaio» viene affrontato con cura indicando per ogni modellino annata, casa di produzione e caratteristiche. Quanto alla reperibilità dei «pezzi» rari, Signora non si sbilancia: al collezionista viene lasciato il brivido della caccia. Anche se i colpi di fortuna sono sempre più sporadici. «Sono finiti i tempi in cui si trovavano reperti invenduti e fondi di magazzino - ha affermato Signora - primo perchè gli anni passano e i negozianti se ne vogliono liberare, secondo perchè è stato introdotto il marchio Cee europeo che sancisce il grado di sicurezza dei giochi per bambini: niente materiale tagliente o pezzi sparanti. Tutto molto giusto, ma ha fatto sparire questi giochi vecchi dai negozi. In Giappone il discorso è diverso: le produzioni di questi giocattoli sono continuate e cresciute. Quanto al fenomeno del collezionismo, sono andato in Giappone nel '91 la prima volta e non esistevano quei negozi dove oggi si trova di tutto e neppure le riviste specializzate. È stato un passaggio generazionale: i bambini di allora hanno studiato, trovato lavoro e adesso con i soldi in tasca si tolgono tutte le voglie del mondo ripescando i giocattoli del passato».

La domanda nostalgica dei bambini «cresciuti» ha generato un mercato che sforna ogni mese novità e riedizioni di personaggi classici. I produttori principali sono case giapponesi specializzate, ma molte linee sono realizzate in Cina per motivi di costo. I vecchi giochi invece riportano spesso il marchio made in Japan o Taiwan. «In Italia per i giocattoli del passato il mercato si è ristretto e ha prezzi decisamente alti - osserva Signora -. Si tratta di un mercato tra privati dove ad ogni passaggio c'è il debito ricarico, cosa che ci porta a cifre che solo gli appassionati di una certa età e disponibilità economica possono affrontare. Secondo aspetto riguarda le produzioni contemporanee che si rivolgono direttamente ai collezionisti proponendo esemplari in un numero non elevato, con confezioni e modelli molto curati e fedeli al personaggio originale. Il tutto pone il collezionista di fronte al dilemma: spendo 300 euro per comprare il vecchio giocattolo un po' malandato o un modellino nuovo e visivamente accattivante?».

Una domanda a cui può rispondere soltanto il singolo collezionista soppesando gusti e risorse economiche. Ma quanti appassionati ci sono in Italia? «Difficile dirlo, molti si concentrano solo sulle nuove produzioni, altri soltanto su determinati soggetti. Credo che un'idea di questo interesse la si possa ricavare dal numero di siti internet dedicati alle serie animate. L'aspetto del giocattolo, soprattutto quello d'epoca, infatti è strettamente legato alla produzione stessa del cartone animato. Le serie animate trasmesse in Giappone negli anni Settanta potevano arrivare in Corea, ma questo non bastava a coprire gli alti costi di produzione. Da qui la necessità di sviluppare un merchandising che copriva tutto dai giocattoli ai quaderni, dalle magliette alle sorprese di cioccolata. Si è generato un meccanismo che ha portato le case produttrici di giocattoli a chiedere agli autori di realizzare personaggi e robot da tradurre poi in giocattoli. Il rapporto tra produzione artistica e merchandising prosegue anche oggi. Uno degli esempi più lampanti è la serie fantascientifica Gundam oppure i personaggi di Go Nagai che vivono di nuove interpretazioni. Certo a volte questo rapporto è sbilanciato e sotto questo aspetto i cartoni animati odierni hanno perso smalto. Sono prodotti più omologati con personaggi e situazioni standard visto che sono rivolti ad un pubblico globale. Una vecchia serie degli anni Settanta invece è spesso ricca di riferimenti sociali, storici e anche geografici che caratterizzano la provenienza e il punto di vista giapponese».

Ecco allora che un piccolo robot di plastica può diventare la chiave per ricostruire il dietro le quinte della storia dell'animazione giapponese oggi diffusa nel mondo e, per certi versi ,anche i costumi e la mentalità nipponica. Non soltanto giocattoli quindi, ma oggetti dotati di «Anime d'Acciaio».

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