Musica
Lunedì 04 Luglio 2011
Rock: ruggisce soddisfatto
il vecchio leone texano Joe Ely
«Satisfied at last», come a dire, «finalmente ce l'ho fatta a fare il disco che volevo». Parola di Joe Ely, rocker americano di lungo corso che in questo nuovo album ha ritrovato la verve dei tempi più belli. Venerdì 8 luglio sarà in concerto a Villa Olmo nel festival «Como città della musica»
Basti dire che la sua voce si distingue nei cori di uno dei più grandi successi dei Clash, “Should I stay or should I go” mentre è uno dei pochi a potere vantare la presenza di Bruce Springsteen in persona come vocalist in un suo cd, segno del grande rispetto e dell'ammirazione che anche il Boss nutre per questo genuino performer che dà il meglio di se proprio di fronte al pubblico. È autore di bellissime canzoni ma anche efficace interprete di brani altrui (basterebbe come esempio la magnifica storia di “Gallo del cielo” di Tom Russell e Peter Case), è capace di toni intimistici delicatissimi, qualche esempio anche nel recente live acustico “Cactus!” ma quando attacca l'elettrica non ce n'è più per nessuno. E non c'è miglior complimento che si possa fare a un artista che ha una discografia che supera le venti unità - senza contare i lavori con i Flatlanders (la band giovanile che ha riformato nel 1998) - di non saper scegliere il più bello. Una volta si diceva “Honky tonk masquerade”, opera numero due, altri preferiscono “Love and danger” o l'acustico “Letter to Laredo”. Detto questo, gli ultimi lavori in studio non erano, forse, all'altezza della sua fama e lui stesso se n'è accorto. Ma se si trattava di un appannamento era, fortunatamente, momentaneo come dimostra questa fresca raccolta di dieci brani, quasi tutti autografi (appaiono le firme degli amici di sempre, Butch Hancock e Billy Joe Shaver). E se “Satisfied at last” non ha la grandezza di questi predecessori, è un solido esempio di un'incrollabile volontà di credere nel potere della musica e delle canzoni per trasmettere sentimenti, emozioni reali, sincere come la voce di Joe che sembra non invecchiare mai. Dopo la funkeggiante e programmatica “The highway is my home” anche “Not that much has changed” suona come un proclama. È vero, non è cambiato niente da quei primi dischi che hanno fatto apprezzare Ely: chitarre acustiche in bell'evidenza, il ritorno del grande artista del flamenco Teye (che va in giro vestito da mariachi ma è, invece, olandese!), elettriche che scorrono come le ruote di una Dodge su una highway dritta come la canna di un fucile in “Satisfied at last”. Direzione Messico, come si ascolta in “Mockingbird” dove Joel Guzman, presente anche all'organo, imbraccia l'amata fisarmonica. Un brano semplice ma irresistibile come “You can bet I'm gone”, che ti sembra di avere già sentito mille volte, ma non sai né dove né come (segno che era nell'aria e che aspettava un Joe Ely che lo raccogliesse) dimostra che questo fresco sessantaquattrenne ha ancora diverse frecce da scagliare.
“Leo and Leona”, una storia di strada, porta la firma di Butch Hancock come la conclusiva “Circumstance”, questa una delle più belle della raccolta. Shaver regala “Live forever” che ha il ritmo di un treno in corsa ma un suono leggero, come quello di chi scappa in punta di piedi. Attenzione: quello che non ti aspetti è il reggae di “Roll again” e il bluesaccio di “I'm a man now”. Joe Ely e la sua band saranno in concerto a Villa Olmo nell'ambito del festival “Como città della musica” venerdì 8 luglio (biglietti a 20 euro più 3 euro di prevendita, info: 031.270170, www.comofestival.org).
Alessio Brunialti
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