Il dibattito cultuale nel nostro paese meraviglioso è frizzante come non mai. Negli ultimi giorni i meglio cervelloni della penisola si sono accapigliati su un tema decisivo per la nascente Terza repubblica: Checco Zalone è di destra o di sinistra? E che analisi, che simposi, che trattati di sociologia applicata, che reminiscenze classiche da Rive Gauche, che inesorabili stroncature gramsciane ma anche che lodi ditirambiche sullo Strapaese vessato dalle élite intellettualoidi eccetera eccetera eccetera. Insomma, il meglio della commedia umana di un’intera nazione in armi, che si interroga pensosa se Zalone sia per davvero l’uomo più divertente d’Italia.
Beh, la risposta è semplice: no. Basti ricordare le ultime spassosissime dichiarazioni di Enrico Letta, che da Berlino ha tuonato un petroliniano “Basta tasse!” mentre in contemporanea alzava il prezzo della benzina. Fortuna che Letta si occupa del trasporto dei lupini ad Aci Trezza assieme a padron ’Ntoni e comare Maruzza e quindi di certe sue uscite da ubriaco da bar ci si fa una grassa risata tutti insieme davanti a un giro di bianchi sporchi. Perché se, per caso, fosse invece presidente del consiglio – ipotesi impossibile in un paese calvinista come il nostro – ci sarebbe da rincorrerlo armati di badile e delle peggiori intenzioni.
Detto questo - perché le sghignazzate regalateci dagli ultimi dieci premier, Checco Zalone se le sogna di notte – il vero lato penoso della vicenda è la rifrittura anno dopo anno e polemica dopo polemica degli stessi e insopportabili e inscalfibili luoghi comuni. Il “luogocomunismo” è la nostra vera cifra, il nostro vero oppio, il nostro vero codice genetico. Che funziona più o meno così. Quelli di destra che tuonano contro quelli di sinistra perché snobistici e arroganti tutti coesi e adesi dentro le loro torri d’avorio e le loro terrazze e i loro salotti radical chic e il sopracciglio sempre alzato e la puzzetta sotto il naso e il loro teatro off e la loro sicumera da quelli che sanno sempre una pagina in più del libro e i loro cantautori pallosi e i loro film d’essai tedeschi sottotitolati in ungherese che li premiano sempre a Cannes ma poi non li va a vedere nessuno nonostante la critica militante politicamente corretta e i loro maestrini con i ditini alzati e le loro cooperative bio e i loro nannimoretti egocentrici e autoreferenziali e pedagogici e sempre indignati e che non sanno una mazza del paese reale perché insaccati dentro i loro posti fissi e scuole e università e ministeri ed enti locali, insomma, tutta una congrega di lazzaroni che “il dottore è fuori stanza” è il loro segno distintivo.
Poi, ci sono quelli di sinistra che scomunicano quelli di destra spaghettari e ladri e cafoni e buzzurri ed evasori fiscali a prescindere coi loro Suv e i loro soldi trafugati in Svizzera e le loro dichiarazioni dei redditi da fucilazione alla schiena e plebaglia asservita alla televisione e zero libri e cinque telefonini a testa e Drive In e il Grande Fratello e Dallas e le rivistucole di gossip da sciampiste con l’occhio bovino e Boldi e De Sica (figlio) e cinepanettoni con Antonella Interlenghi, veri eredi dei filmetti osé con le loro battute da caserma sul kamasutra e non ci sono più i valori e una volta sì che ci si appassionava alla politica e i giovani del giorno d’oggi sempre lì su Facebook a mandar via faccini e vent’anni di dittatura catodica guarda un po’ come ci hanno ridotti.
E così anche l’inconsapevole Zalone è finito dentro questo tritacarne. E al di là della clamorosa pubblicità gratuita e della valanga di milioni che ha incassato, beato lui, da questo marchingegno non potrà che uscirne distrutto, ennesimo pretesto di una guerra guerreggiata che va avanti da trent’anni e che a qualcuno piace spacciare come scontro tra civiltà, ma che invece rappresenta solo le due facce di un’identica medaglia: l’immobilismo culturale di un paese che finisce col farsi rappresentare da estremismi pagliacceschi e non invece da chi con questa robaccia non ha nulla a che vedere. Questa qui non è una destra e non è neppure una sinistra, ma solo la proiezione del peggio di quelli di noi che credono veramente che le svedesi ci stiano con tutti, che i francesi vadano in giro con la fisarmonica e il baschetto, gli spagnoli gelosi e pittoreschi, gli italiani baffo nero e mandolino, i giornalisti tutti martiri della democrazia antifascista (oppure tutti fanfaroni da bar, scegliete voi) e il resto di quella pletora di luoghi comuni che fa tanto barzelletta anni Ottanta.
Quelli di Zalone, naturalmente, non sono grandi film, per quanto cento volte meglio delle risibili commediole perbeniste di Pieraccioni, delle burinate da osteria dei Vanzina e delle infide ruffianerie di Benigni - “La vita è bella” è il film più sopravvalutato della storia del nostro cinema: sul tema della tragedia rivisitata in comico e fiabesco “Train de Vie” gli dà cento a zero -, ma comunque sono ricchi di gag divertenti ( “Scusi, della Che Guevara avete pure i borselli?” è una battuta da Oscar, così come negli anni di Calciopoli la canzone “I juventini”). E morta lì, senza dover scomodare Roland Barthes o Kaurismäki.
E allora, forse varrebbe la pena di rispolverare il povero Benedetto Croce, che ogni tanto qualche statista cita senza averne naturalmente mai letto una riga e ricordarci dell’autonomia dell’opera d’arte e del fatto che l’artista “è” la sua opera, che vale di per sé, senza attaccarci sopra etichette di qualsiasi ordine e grado. Destra o sinistra? Chissenefrega, bravo Zalone e pensiamo a qualcosa d’altro. Ad esempio, a film clamorosi come “Venere in pelliccia” di quello stragenio di Polanski: divertentissimo, leggero, carnale e sessualmente morboso (capito, tontoloni di destra?), ma al contempo raffinatissimo, colto e intelligente (capito, scienziati di sinistra?). Quello sì che è un capolavoro assoluto e adatto a tutti, molto più del “destro” Zalone o del “sinistro” Virzì. L’altra sera a vederlo c’erano cinque persone…
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