Ogni tanto, facendosi faticosamente spazio tra la fuffa, il cascame, gli zerbinismi e le supercazzole che infestano i nostri giornali, appare un pezzo strepitoso. Merce rara, conoscendo la categoria. E quindi, visto il livello del dibattito culturale, destinato a essere frainteso dal nugolo di tromboni che si accalca sui social e nei talk show della nostra meravigliosa repubblica dei datteri.
Qualche giorno fa, lo storico Ernesto Galli della Loggia ha scritto sul “Corriere della sera” una lettera aperta al nuovo ministro dell’Istruzione dal chiarissimo intento provocatorio - ovviamente non colto dalla maggioranza degli analisti e dei professionisti del settore - nel quale stilava un decalogo per mettere davvero in atto l’obiettivo del “cambiamento” del quale i partiti che sostengono il nuovo governo, esattamente come tutti quelli passati, a dir la verità, si sono riempiti la bocca durante la campagna elettorale. Tra le proposte principali dell’editorialista - alcune iperboliche, ma condivisibili nel principio fondamentale del ripristino della centralità intellettuale e sociale del docente - spiccano l’obbligo di reintroduzione della predella per elevare la cattedra rispetto ai banchi degli alunni, quello di alzarsi in piedi all’ingresso dell’insegnante, il divieto di ogni sorta di occupazione e autogestione, l’interdizione assoluta di portare gli smartphone non solo in classe, ma anche all’interno della scuola.
Però il punto davvero straordinario, metafora di una rivoluzione copernicana, di uno strappo antropologico, di una scelta di civiltà rispetto alla risacca, al riflusso, al degrado luogocomunista cui abbiamo assistito attoniti e impotenti in questi anni fanghigliosi di smarmellamento di ogni principio di competenza, di autonomia e di autorità si trova al comandamento numero quattro del decalogo. E cioè “la cancellazione di ogni misura legislativa o regolamentare che preveda un qualunque ruolo delle famiglie o di loro rappresentanze nell’istituzione scolastica”. Visto che non ci sono delegati dei pazienti in ospedale, né dei contribuenti all’Agenzia delle entrate, né degli automobilisti alla Motorizzazione, non si capisce davvero, secondo Galli della Loggia, perché la scuola debba fare eccezione. Un genio. Un gigante. Un titano. Novantadue minuti di applausi per chi ha avuto finalmente il coraggio di dire con tutta la brutalità necessaria la verità su una delle più demagogiche, ridicole, grottesche, familistiche e amorali e devastanti riforme “progressiste” che hanno contribuito in modo decisivo a ridurre un’istituzione seria come la scuola a un cortile di comari, una seduta di autocoscienza sessantottarda all’interno della quale il primo che si alza comanda e dove chi non sa niente parla di tutto e dà la linea su cose che non conosce.
Quante volte li abbiamo visti, i nostri meravigliosi papà e le nostre ineffabili mammà cantilenare che è sempre colpa di qualcun altro (mantra nazionale) e del prof che ce l’ha con lui (o lei) e che l’ha preso di mira e che lo vessa e lo mobbizza e lo stalkizza e che dà troppi compiti (o troppo pochi) e spiega male e corregge peggio e non si deve permettere e la mensa e l’ora di religione e la festa di fine anno e la gita scolastica e bla bla bla senza domandarsi nemmeno per un attimo che magari non è il professore a essere cattivo o il preside incapace, ma il suo frugoletto a manifestarsi come un asino caprone da spedire in miniera a pedate nel sedere? E quanti ne abbiamo visti piagnucolare, ma anche insinuare e minacciare e complottare e ululare e non finisce qui e ci vediamo in tribunale e ricorro al Tar, sorvolando sull’ebetudine e gli analfabetismi e i ciuchismi e i fanfaronismi della propria prole?
Ma il vero dramma è che non accade solo lì. Se Galli della Loggia ha un torto, è che avrebbe dovuto spingere l’analisi più a fondo. Perché non è solo nell’ambiente scolastico che noi genitori offriamo il peggio. Vogliamo davvero parlare di cosa combiniamo con lo sport? Ne abbiamo viste di cose, sui campi di calcio del basso lago e dell’alta Brianza, che voi single non potete neanche immaginarvi. Padri sbraitanti contro il mister colpevole, sull’undici a zero contro la selezione B dell’Ambivere Mapello, di non sviluppare il gioco sulle fasce, ideale a esaltare i talenti del figlio, ovviamente un novello Messi. Madri scarmigliate come Anna Magnani in un film neorealista all’assalto dell’arbitro, reo di non proteggere a sufficienza gli stinchi del Cristiano Ronaldo di Cantù-Cermenate. Nonni e zii appena patentati da Coverciano che pontificano sull’etica sportiva e il rispetto delle regole che non c’è più, signora mia, mentre rigano la macchina del guardalinee che ha dato un fuorigioco che manco alla Juve di Benetti e Furino. Risse grandguignolesche, iperboliche, fantozziane sulle tribune tra genitori perché adesso basta con i soprusi e ti aspetto fuori e dagli al negro e dagli al terrone e dagli al frocio e sputacchia all’arbitro donna con tanto di anglosassoni riferimenti alla sua vera professione, ma anche a quella di sua madre e di sua sorella. Seri professionisti trasformati in belve dall’idolatria della figliolanza. Tutto vero.
Ma cosa ci è successo a tutti quanti? Quando abbiamo perso il senso del ruolo, della nostra parte in commedia e ci siamo trasformati da genitori, imperfetti e caduchi, per carità, però consci di quello che siamo e dobbiamo essere a babbei giovanilisti, piagnoni arroganti, frustrati maneschi che ciattano e facebuccano e uozzappano e si assembrano e spurgano contro ogni autorità costituita e tradizionale, per fare carne di porco di qualsiasi intermediazione? Quando ci siamo degradati a papà-complici e mamme-amiche, a branco di pecoroni che protegge i suoi agnellini fino ai trent’anni suonati? I genitori sono dei pericoli pubblici, questa è la verità. Impedirgli l’ingresso a scuola e allo stadio è la prima prevenzione per la salute dei nostri ragazzi. Passate parola, voi che ancora potete.
@DiegoMinonzio
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