Proprio alla vigilia dell’apertura a Verona di Vinitaly, il 49° Salone internazionale del vino, ho fatto un sogno.
Un sogno di quelli pilotati o, quanto meno preannunciato da anni, ogni qualvolta mi ritrovo in procinto di partire per una delle manifestazioni tra le più importanti a livello internazionale di questo settore.
E i sogni, è risaputo, sono dei desideri nascosti, come il mio che vorrebbe che questa rilevante vetrina enologica mondiale, ritrovasse sui media la risonanza e la divulgazione puntuale che si merita, specialmente in un momento economico particolare come quello che stiamo vivendo.
Non è che non se ne parli, al contrario, forse se ne parla anche troppo ma sempre, salvo casi eccezionali, come di una manifestazione folcloristica, durante la quale si degustano migliaia di vini speciali e i produttori sono rappresentati come dei narratori del buon gusto italiano al di fuori, però, del contesto economico-sociale e della realtà politica generale.
Quello che non traspare invece, è che questo settore è un pezzo importante, vivace e strategico della nostra economia e che, i produttori di vino, dal più piccolo vigneron sino ad arrivare ai responsabili delle più grandi cantine, rappresentano con il loro operato dei veri e propri modelli virtuosi di futura, innovativa e versatile imprenditoria. Certo, un’imprenditoria che, come i sogni che riescono a volare, avrà bisogno di radici radicate nella terra e nel tessuto sociale e che, come ci dicono i numeri, sappia guardare al futuro con fiducia riuscendo a trovare strumenti sempre più adeguati alle dinamiche distributive, ai nuovi clienti e ai desideri dei consum/attori.
Non stiamo quindi parlando di un’economia speculativa o del “bel tempo che fu”, tanto meno di fenomeni più o meno modaioli, della “Milano, Roma o Napoli da bere”, sono le cifre fornite da Vinitaly, riferite al 2014, a sollecitarci una generale e aggiornata attenzione.
Come i 20 milioni d’ettolitri di vino esportati che pongono l’Italia al primo posto nel mercato mondiale o, i 505 milioni di litri di vino venduti nella grande distribuzione italiana e le 380 mila aziende vitivinicole rappresentative del 23% del totale delle imprese agricole in Italia.
Insomma i numeri sono lì ad incoraggiarci e, il mondo del vino che vorrei che si raccontasse di più e meglio, è proprio quello che in questi anni ha tenuto, è cresciuto e ha indicato all’economia, alla politica, ai nostri amministratori locali che, malgrado tanti sforzi e sacrifici, è possibile ancora scommettere sul futuro.
Questo significa che, a cominciare dai territori vitivinicoli più vicini, la Valtellina e, in provincia di Como e Lecco le Terre Lariane, occorrerà progettare un’iniziativa di comunicazione forte e adeguata per raccontare le loro specifiche identità, caratteristiche e potenzialità.
Ricordandoci sempre che stiamo si parlando di economia e di sviluppo, ma di un’economia che deve sapersi coniugare con l’ecologia, con la sostenibilità, con il patrimonio paesaggistico, con scelte coraggiose nell’investire su visioni agronomiche sempre di più basate sul rispetto della natura e dell’ambiente.
Non a caso, la Valtellina vitivinicola si trova oggi e, sempre di più domani, “nel posto giusto al momento giusto”. Sta per entrare, forse senza saperlo, in una potenziale luna di miele nei confronti delle aggiornate e sempre meno omologate abitudini dei contemporanei consum/attori, italiani ed esteri.
Mi piacerebbe che tutto questo fosse al più presto e acutamente intercettato, con le dovute e mirate iniziative da disegnare e progettare, in prima persona da parte dei produttori e delle loro specifiche strutture (Consorzi e altro) e, in seconda battuta, da una rinnovata classe dirigente più sensibile e lungimirante, specialmente per quanto concerne il futuro e la visione dei territori, della loro gestione e della loro programmazione.
Vinitaly, in fondo, è anche questo: imparare a connettere tutte le eccellenze ed ibridarle con le opportunità virtuose. Poi, però, tutto questo deve essere fatto conoscere e, qualcuno, bisognerà che lo racconti.
* vice-presidente di Slow Food
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