Erri De Luca, scrittore, traduttore e poeta napoletano, chiaro ed essenziale come tutti i suoi libri (l'ultimo, Il peso della farfalla Feltrinelli – è da mesi nella classifica dei più venduti), non vede pericoli nell'espandersi della moda dei libri elettronici, chiamati e-book nella terminologia corrente, che stanno togliendo il sonno agli editori e hanno messo in fibrillazione agenti e scrittori. Il gran parlare che in questi giorni si fa sull'argomento sta diventando il tormentone letterario di questa estate, solcata da innumerevoli premi e premietti ma forse avara di libri davvero buoni.
Forse per questo l'ombra del libro elettronico destabilizza il mondo editoriale e lo pone di fronte ad innovazioni urgenti, prima che Internet monopolizzi un mercato che, visto da vari punti di vista, potrebbe rivelarsi molto redditizio.
«Secondo me il libro elettronico – dice De Luca – è un vantaggio anche per l'editore. Può vendere una parte di questa produzione senza doverla stoccare con pesanti costi di magazzino, e senza gli altrettanto gravosi costi di distribuzione. Quindi sono anche simpaticamente favorevole all'iniziativa dell'agente americano Andrew Wylie, il quale pretende un po' più di quattrini per il diritto d'autore, visto che le spese dell'editore sono di meno».
Tutto il gran parlare che si fa attorno all'e-book, secondo lei è un po' esagerato?
«Diciamo che è un po' americano. In America è più forte la discussione, c'è un mercato più consistente e più abituato alle novità. Noi siamo Europa, siamo lenti a rinunciare a questo parallelepipedo, al libro che si può sfogliare con le dita».
I lettori secondo lei sono già pronti a questo cambiamento?
«I già lettori no: le abitudini sono molti difficili da estirpare e la diffidenza verso le novità è sempre parecchia in ognuno di noi. I nuovi lettori invece, quelli che iniziano ora il loro rapporto con i libri e iniziano a leggere sul formato elettronico, si potranno abituare presto. È, secondo me, una fetta di mercato che si aprirà del tutto fra una decina d'anni. Non prima».
Lei pubblicherebbe un suo libro direttamente in digitale?
«Certamente, un libro nuovo, libero da diritti con gli editori, lo pubblicherei più che volentieri».
Magari quello a cui sta sicuramente lavorando. Uscirà in autunno?
«Sto scribacchiando, ma non uscirò in autunno. Sono ancora indietro e ho bisogno di un po' di tempo per concludere».
Durante l'estate lei riprenderà il suo spettacolo Che Storia è questa con il cantautore Gianmaria Testa: canzoni, musica, poesie e racconti per parlare di migrazioni, amori, guerre e prigionia.
«Raccontiamo qualche storia del '900 perché vogliamo raccontare il secolo da cui proveniamo».
Un secolo, il Novecento, che ci sembra sia stato molto interessante sotto il profilo degli avvenimenti, ma allo stesso tempo anche caotico, sanguinario, convulso e pieno di ambiguità.
«I secoli di solito non sono educati, aprono e chiudono bruscamente le loro presenze. In particolare penso che il Novecento sia stato un secolo gigantesco per assetti e coinvolgimenti di masse umane in avventure colossali come le immigrazioni, le rivoluzioni e le guerre di distruzione».
Il XXI Secolo con quali prospettive si è presentato?
«Questo nuovo secolo si è presentato sotto la tirannia dell'economia, che rende precarie tutte le singole economie locali: come se invece che giocare in borsa, la gente giocasse alla roulette».
Che effetto ha l'economia sulla vita in questo momento?
«L'economia, con le leggi di mercato, trasforma tutte le persone in clienti che vengono valutati secondo il loro potere di acquisto. Chi ha più potere d'acquisto ha un maggior diritto alla sanità, all'informazione, alla scuola. Quando governa l'economia il cittadino è ridotto a controparte passiva. Il cliente ha sempre ragione, ma le regole le detta il mercato».
E l'Italia? In che rapporto è con l'economia?
«Noi italiani siamo buoni rappresentanti della tendenza del mondo ad essere strapazzato dall'economia».
Da cosa nasce il suo amore per la montagna?
«Dalla storia familiare: mio padre è stato un soldato alpino nella seconda guerra mondiale e di quella terribile esperienza ha riportato solo il sollievo d'essere stato in mezzo a delle montagne, e di aver svolto quel servizio micidiale nella natura che lo ha salvato da un tempo maledetto. E poi dal fatto che le montagne sono una delle espressioni della bellezza che spinge chi è sensibile al loro splendore ad avvicinarle. Io vengo dal mare, ma sono più affascinato dalle montagne».
Perché si è allontanato dal mare?
«È successo tante volte nella mia vita di andarmene alla deriva lontano dal punto di partenza, e in questa deriva mi sono imbattuto nelle montagne, e prima di conoscerle le ho riconosciute: erano quelle di mio padre. E mi sono sentito in un posto che mi aspettava per eredità. E poi perché ho una dimestichezza con il vuoto e mi trovo in un ambiente in cui sono un ospite di passaggio, e questa è una buona sensazione per me che sulle montagne sento più marcata. La specie umana scarseggia ed è di passaggio».
Ma non le sembra che le montagne siano sempre più meta di turismo mondano?
«Alcune montagne sono diventate o diventano un terreno di gioco più frequentato. Ma rispetto al numero di montagne credo che il rischio non sussista ancora. Chiunque voglia può trovare la sua montagna con l'orizzonte sgombro».
È utile conoscere le montagne?
«Utile no. La bellezza dell'alpinismo è l'essere completamente inutile. In un tempo in cui tutto deve avere un tornaconto la pratica dell'alpinismo è semplicemente priva di utilità».
Il suo ultimo libro somiglia ad una bella favola ecologica. Cos'è per lei l'ecologia?
«L'ecologia è tutto ciò che riguarda il nostro ambiente e, infatti, il senso letterale della parola latina è "ciò che ci circonda"; ma oggi l'ambiente è circondato da noi, e noi siamo coloro che assediano l'ambiente. L'ecologia è perciò un tentativo di educazione civica nei confronti dell'ambiente».
Il racconto del suo ultimo libro è fatto di esperienze reali?
«Ci sono dei margini di invenzione, ma in genere si tratta di storie che circolano tra i praticanti di alpinismo e i bracconieri. Ne ho incontrati diversi e ci ho bevuto insieme molte sere praticando la montagna. Attraverso le loro e le mie osservazioni ho messo insieme questa storia».
Lei conosce diverse lingue che ha detto di aver imparato da autodidatta. Che metodo ha seguito?
«Sono autodidatta, ma latino e greco l'ho studiato a scuola e me lo hanno inculcato a viva forza dentro le meningi reticenti e renitenti. Però una volta avute a disposizione gli strumenti è facile scassinare le lingue degli altri. È come uno che sa suonare un paio di strumenti e si mette a suonarne altri tre o quattro. È più facile».
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