I bambini hanno bisogno di eroi e di mostri. L’Italia è un paese bambino. L’Italia ha bisogno di eroi e di mostri.
È l’eterno sillogismo della repubblica delle banane, che affonda le radici profondissime nella sua storia, nella sua cultura, nella sua antropologia. Album di famiglia. Autobiografia della nazione. Richiamo della foresta. Il bisogno urgente, impellente e immanente di ridurre tutto a uno, di semplificare la complessità nel demiurgo, nell’eroe, nel trascinatore, nel Capitano e, per converso, nel demone, nel criminale, nell’orco, nel Dittatore. Da una parte sempre loro, l’eroe o il mostro, che tutto pensano, tutto decidono e tutto compiono, dall’altra la massa sterminata degli adepti, dei vassalli, dei fedeli che a quello si abbeverano oppure degli umiliati, degli offesi, dei resistenti che quello maledicono.
È sempre andata così nel Belpaese, che per paradosso solo apparente e invece coerentissimo con la sua natura intima e infida, è al contempo il più individualista del mondo - nell’accezione deteriore di menefreghista, cinico, indifferente e spregiudicato - ma anche quello nel quale l’individuo - nell’accezione nobile della cultura liberale - non conta niente. Perché qui governano e comandano e tramano le famiglie, i familismi, le consorterie, i salotti, le terrazze, gli amici, gli amici degli amici, le relazioni, le filiere, le burocrazie, le corporazioni, le cooptazioni, i clan e tutto il resto di quella massa stridula e melmosa che rappresenta la vera sinestesia della nazione. Altro che destra, sinistra e ammennicoli vari.
E così, buon ultimo di una lunga schiera che somma, solo tra gli ultimi protagonisti, Renzi, Berlusconi e Craxi, ora è il turno di Salvini. Al quale, e questo è il vero problema della nostra politica, della nostra informazione e della nostra opinione pubblica, si applica qualsiasi metodo fuorché quello di un’analisi laica e oggettiva. Travolti da un impeto emotivo e ideologico, lo abbiamo ormai trasformato in quel feticcio, in quel monolito, in quel drappo rosso da sventolare davanti al toro dell’immaginario collettivo già interpretato dai suoi altrettanto feroci, ma ormai dimenticati predecessori.
Una dicotomia da forsennati. Il gigante. Il vate. Il cattolico legato al gesto e alla tradizione che ormai manco più il Papa. L’italiano vero, capace e pugnace. L’uomo uguale agli altri. L’uomo come noi. L’uomo che parla come mangia. L’uomo che dice quello che la gente pensa, che vive nei territori, che ascolta i bisogni primari del popolo vessato e prostrato dalle caste e dalle multinazionali. Il condottiero. Il twittante e facebuccante senza intermediazioni e senza forfore ministeriali. L’idolo delle folle. L’uomo del fare, delle sfide ai mercati, del faccio tutto io eccetera eccetera eccetera. Oppure no. Il demonio. Il razzista. Il fascista. Il nazista. Lo schiavista. L’affamatore dei poveri, lo stalker dei negri, dei rom, degli ultimi della terra. Il corruttore in salsa digitale, degno erede del corruttore in salsa analogica che è ovviamente il Cavaliere. L’alchimista che ha sdoganato la destra. La destra eversiva. La destra che distrugge l’Europa e la civiltà. Lo stregone dell’Italia cattiva, dell’Italia truce, dell’Italia rancorosa che vessa e aggredisce e infierisce sui deboli e gli indifesi. L’uomo della pancia. Il demagogo straccione. L’incolto. Il reo che insulta i giudici eccetera eccetera eccetera.
E avanti così. Tutto il giorno. Tutti i giorni. Da quanti giorni? E tutto nasce lì e vive lì e muore lì e ogni giorno ha la sua pena, il suo titolone, la sua sparata, i suoi osanna dei fedeli e i suoi vade retro degli esorcisti. Ed era esattamente così con Renzi ed era esattamente così con Berlusconi ed era esattamente così con Craxi. E la cosa incredibile è che la storia non insegni nulla. Da una parte, è provato che la cultura della demonizzazione non porta mai niente di buono a chi la brandisce come un’arma, anzi, come l’unica arma di opposizione al proprio nemico politico. Più il lider maximo viene accerchiato dalle orde giudiziarie-mediatico-sindacali-intellettuali più il dipingersi come vittima sola contro tutti lo premia nelle urne e nel consenso degli italiani. Ma è vero anche il contrario. Più le folle osannanti plaudono e invocano e celebrano, più il re Mida della nuova politica si rinchiude in una bolla autoreferenziale e onanistica che lo stacca dal mondo reale spingendolo inesorabilmente verso la caduta.
E anche qui, se solo si conoscessero un poco gli italiani - e anche tutti gli altri esseri umani, naturalmente, ma soprattutto gli italiani - non si dovrebbe nutrire dubbio alcuno sul fatto che al primo inciampo, alla prima caduta, in meno di un nanosecondo delle folle osannanti di cui sopra non ne rimarrebbe manco l’ombra, visto che il calcio dell’asino - assieme alla pizza e al mandolino - è la vera specialità dello chef tricolore. “Cosa, sovranista io? Mai stato sovranista!”. Provate a togliere “sovranista” e mettete “craxiano”, “berlusconiano” o “renziano” - ma soprattutto “fascista” - e vedete un po’ se non vi torna in mente qualcosa, se non sentite aria di casa.
Rimarrebbe la politica, se ci fosse una politica. E l’informazione, se ne esistesse una. Servirebbe un’analisi del leader in quanto tale. Con tutte le sue qualità: la prodigiosa efficacia comunicativa, l’empatia con la gente, la prontezza nel toccare i nodi anche emotivi dell’elettore. E tutti i suoi difetti: non ha mai studiato, non ha mai lavorato, non ha mai amministrato, vive di politica dai tempi di Tangentopoli, racconta un sacco di balle - “taglio le accise sui carburanti!”, “caccio a casa i clandestini!”, “niente condoni e subito choc fiscale!” – proprio come i suoi predecessori. E poi, alla fine, dopo aver analizzato ogni cosa, la decisione se sostenerlo o combatterlo.
State sereni. Salvini non è Dio e non è Satana. È solo un uomo. È solo un politico. Anzi, è il solito politico italiano. E con questo, forse, abbiamo detto tutto.
@DiegoMinonzio
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