Cronaca / Como città
Mercoledì 17 Gennaio 2024
Strage di Erba, intervista all’ex brigadiere che trovò la macchia di sangue sull’auto di Olindo
La testimonianza Carlo Fadda, ex brigadiere dei carabinieri di Como: «Mai alcun pressione da superiori o Procura per incastrare Olindo Romano»
Nella bufera revisionista dove tutto vale, pur di mettere in dubbio la condanna di Rosa Bazzi e Olindo Romano per la strage di Erba, anche accusare gli inquirenti di frode processuale, uno dei passaggi più delicati riguarda la macchia di sangue di Valeria Cherubini (con tracce di dna pure di Mario Frigerio) trovata sull’auto di Olindo Romano. Per la difesa una prova che presenta “criticità ontologiche”, addirittura una “traccia fantasma” che - sembrerebbe doversi dedurre - potrebbe essere stata costruita a tavolino dai carabinieri.
L’ultima “breaking news” sul tema riguarda l’intercettazione registrata dalla microspia sull’auto di Olindo Romano, nel punto in cui, il 26 dicembre, cioè quando i carabinieri del nucleo investigativo di Como hanno trovato la macchia di sangue su battitacco della Seat Arosa del vicino di Raffaella Castagna, dimostra come il brigadiere Carlo Fadda non era solo nel garage del comando provinciale durante le operazione di repertazione. Per certa stampa un giallo, la prova di una menzogna. Ma è così?
Il diretto interessato, in pensiona ormai da alcuni anni dopo una vita trascorsa a effettuare sopralluoghi scientifici in tutta la provincia, ha accettato di ricostruire con noi quella sera cruciale.
Carlo Fadda, che ricordi ha di quel 26 dicembre di 17 anni fa?
Ero a casa, libero dal servizio. Stavamo quasi per cenare. Quando, verso le 19, mi arriva una chiamata dal comando per dirmi di rientrare perché c’erano da fare dei rilievi sull’auto di Olindo Romano.
A quell’epoca il comando provinciale era ancora in via Borgovico. Chi ha trovato al suo arrivo?
C’era il comandante del nucleo investigativo, il capitano Gargini, e un maresciallo mio collega. Inoltre c’erano dei colleghi che, più tardi, sono stati mandati a rifare il percorso seguito la sera della strage dai due indagati.
Quando lei è arrivato al comando c’era già la Seat Arosa di Olindo Romano?
No, non ancora. I coniugi Romano sono arrivati in caserma tardi, saranno state le 22.30. E io ho iniziato i rilievi tecnici alle 23.
Il verbale di accertamento tecnico urgente è firmato solo da lei. Ma nell’audio captato dalla microspia sulla Seat Arosa si sente che, dopo le 23, lei interloquisce con un suo collega. Ora c’è chi parla di ombre sul prelievo, per questo motivo. Com’è andata?
Il verbale l’ho sottoscritto soltanto io perché io ho svolto l’accertamento. E io ero la sola persona, presente in quel momento in caserma, abilitata a svolgere quel tipo di accertamenti. Nel garage però non ero solo, tant’è vero che c’era lo stesso Olindo Romano, che ha partecipato all’intero repertamento. E un maresciallo mio collega, che stava con il signor Romano e mi ha aiutato a spostare un faro e a portare in garage l’apparecchiatura per i rilievi.
Inizialmente lei non ha trovato nulla, però, in quell’ispezione...
Ho utilizzato la lampada crimescope che non ha evidenziato niente di così evidente. Poi ho spruzzato il luminol. E questo ha dato luminescenza in quattro differenti punti.
Che però, nelle foto, non si vedono. Come mai?
La luminescenza avviene quando c’è buio completo. Le fotografie sono state scattate in presenza di luce, per questo non si vede. Ma le foto le ho fatte nel punto dove ho riscontrato la positività. In ogni caso si vedono chiaramente gli aloni del liquido spruzzato.
Le si contesta di non aver messo i cartellini con le lettere o i numeri tipici dei rilievi scientifici. Perché?
In realtà i numeri e i riferimenti precisi a dove sono avvenuti i prelievi ci sono, in quanto ho provveduto a cerchiarli e numerarli sulle foto scattate. Quindi i riferimenti precisi ci sono.
Lei ha detto che il luminol ha indicato quattro punti di prelievo, ma il solo con tracce di sangue è quello sul battitacco. Come se lo spiega?
Il luminol dà spesso falsi positivi, ad esempio dà luminescenze in presenza di ruggine o altre possibili sostanze che reagiscono a contatto con il liquido. In ogni caso noi provvediamo a repertare laddove quelle luminescenze si verificano, senza avere la certezza che si tratti di sangue. E infatti io non sapevo se e quali di quei quattro punti avrebbero dato esito positivo. Quel dato lo rivela successivamente il laboratorio dove vengono analizzati i reperti.
Come avviene questo passaggio?
Ora si utilizza una sorta di cotton fioc. Un tempo si utilizzavano dei piccoli rettangoli di carta assorbente, chiamata carta bibula, che venivano sfregati sulla zona indicata.
Sfregati o appoggiati?
Sfregati.
È per questo che gli aloni sul reperto analizzato in laboratorio dal dottor Previderè sembravano così estesi?
Sì, certo. Non era la traccia di sangue a essere così grande.
Torniamo al prelievo. Poi cosa avete fatto con i reperti?
La carta non va richiusa subito, va fatta asciugare in un posto sicuro per evitare contaminazioni. Poi, una volta asciutta, abbiamo diviso i quattro prelievi, li abbiamo imbustati con l’indicazione del numero del reperto, sigillati, timbrati e firmati. Quindi custoditi in un armadio blindato. Un paio di giorni dopo li abbiamo mandati in laboratorio, quando la Procura lo ha disposto.
Ora, nella richiesta di revisione la difesa sembra quasi suggerire che quel reperto sia stato in qualche modo manomesso. Sia sincero: eravate sotto pressione?
Era un’indagine per una strage. E non c’è una sola persona che l’abbia mai presa alla leggera. Ma nessuno, in alcun momento, dei miei superiori o dalla Procura ha mai fatto pressione perché trovassimo elementi a carico dei coniugi Romano. E poi...
Dica...
Se proprio avessi dovuto creare una traccia falsa, non avrei certo scelto di metterla sul battitacco dell’auto o solo lì. Sono sei anni che mettono in dubbio la nostra professionalità e la nostra correttezza. Questo fa male.
Ma lei, in una chiacchierata rubata dalle Iene, sembra suggerire l’idea che quella traccia non sarebbe così decisiva. Avrebbe detto che gli avvocati dovevano insistere sul fatto che quel sangue potesse essere stato trasportato per errore da altri in altro momento. È quello che pensa?
Assolutamente no. Il mio discorso era completamente diverso: siccome si ipotizzava la falsificazione di atti, io ho detto che prima di puntare il dito sull’onestà dei carabinieri, se proprio volevano provare a smontare la prova sulla traccia di sangue i difensori avrebbero dovuto insistere sull’ipotesi di contaminazione, non accusarci di dolo.
Ma lei crede nell’ipotesi della contaminazione?
Affatto. Ma su questo si sono espressi altri.
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