Como sta cambiando in fretta. Tanto il paesaggio urbano sembra immutabile nelle sue ferite più eclatanti (la Ticosa e il cantiere del lungolago) quanto la composizione sociale della città, nell’arco degli ultimi anni, ha radicalmente mutato il proprio aspetto. Il dato più evidente – lo raccontano i più recenti dati relativi alla popolazione – è quello relativo ai residenti stranieri che oggi rappresentano il 14% dei comaschi, dal 2008 a oggi 2.500 persone in più. Filippini, cinesi, ucraini, marocchini: ci sono comunità di ogni angolo del pianeta.
Esistono strade del centro cittadino, via Milano alta in particolare, dove i negozi stranieri sono prevalenti rispetto a quelli “locali” e così accade in alcune scuole, primarie soprattutto. Il fenomeno dell’immigrazione sorprende per la consistenza che ha raggiunto ma anche per come si sta trasformando. Pensiamo ancora alla scuola, sino a ieri eravamo abituati ad associare alla presenza dei ragazzi stranieri, problemi innanzi tutto di carattere linguistico. Oggi la realtà ci insegna che si tratta di pensieri datati se è vero che il 60% degli studenti stranieri a Como – superiori comprese – è nato a Como ed è in tutto e per tutto integrato nel contesto cittadino. Non solo, gli studenti stranieri della cosiddetta seconda generazione risultano il più delle volte tra i più bravi e motivati.
L’immigrazione è in qualche frangente un’emergenza ma è da tempo parte di noi, soprattutto della vita dei nostri giovani che sempre più spesso hanno amici e fidanzate/i di comaschi con la pelle scura e gli occhi a mandorla. Non è più nemmeno immaginabile la nostra comunità senza stranieri. Andrebbe il tilt il sistema produttivo per non dire delle strutture di assistenza. E del resto si deve ai ragazzi immigrati se tante scuole od ospedali raggiungono le soglie minime per poter stare in vita. Diversamente quanti istituti avremmo dovuto chiudere negli ultimi anni? Gli italiani e i comaschi ovviamente non sono un’eccezione, non fanno più figli. Si tratta di una tendenza consolidata di fronte alla quale l’immigrazione rappresenta un utile strumento per evitare il declino e l’estinzione.
Siamo già cambiati e guardandoci allo specchio senza pregiudizi si riesce a misurare quanto siano indietro i talk show televisivi dove impera tuttora di frequente il tema della città multietnica tutto giocato sulla dialettica accogliere o rispedire a casa. Certo, l’integrazione non è e non lo sarà nemmeno in futuro un processo storico privo di conflitti e contraddizioni. Il cardinale Giacomo Biffi, quindici anni fa, fu accusato di islamofobia, in realtà anticipò solo con grande chiarezza i problemi di integrazione di una parte non irrilevante del mondo musulmano. Da un punto di vista laico – aveva in sostanza detto il cardinale - lo Stato avrebbe interesse a favorire l’ingresso in Italia di immigrati cristiani, perché più integrati con le nostre leggi e consuetudini. Dov’è lo scandalo? Tanto sarebbe il caso di accettare la realtà di una società multietnica qual è già l’attuale, quanto di riconoscere che l’accoglienza non può essere a prescindere e che su alcuni principi e valori non è possibile concedere deroghe. A nessuno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA